#Berlinale2017 – Joaquim, di Marcelo Gomes

Viaggia tra emozioni gridate oppure esposte nella loro pericolosità. Un film riuscito, ma al tempo stesso smanioso di uscire dalla propria pelle. In concorso

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Un prologo maestoso, forse becero e grezzo come lo stesso protagonista, eppure carico di una foga irresistibile. Ci troviamo nel Brasile del diciottesimo secolo. Joaquim è secondo luogotenete di una truppa stanziata in un villaggio dellʾentroterra. Il suo compito è dare la caccia ai cercatori dʾoro, ai ladri/traditori della Regina Maria I di Portogallo. Un uomo dalle maniere bestiali, carnale come pochi, e lo sa bene Blackie, schiava di tutti e nessuno. Desidera le tasche gonfie, piene di quellʾoro che la madre patria esige ad ogni costo, e il passaggio ad un grado superiore.

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Il film di Marcelo Gomes si potrebbe collocare in un filone western iberico/coloniale. Indiani, schiavi, alcol, esplorazioni, fuochi su roccia arida, insomma una bella manciata di ingredienti corrispettivi del genere. Eppure sarebbe sciocco pensarlo come prodotto fac simile, come incursione in un mondo di non appartenza. Sebbene le similarità esistano, basti pensare alla disillusione del protagonista che immagina gli USA terra sempreverde dove si garantisce la felicità costituzionale, Joaquim è cosa altra. Una componente autoriale forte, anche in quei primi minuti di messa in scena al passo oscillante e afoso di Blackie. Una comunità piccola, stretta, in cui la distensione fa parte della maschera obbligatoria. Ciononostante, il protagonista è il muscolo più teso, lʾanimale più istintivo. Ogni singola

201713326_4_IMG_FIX_700x700emozione viene accompagnata al climax senza temere lʾecatombe. E Gomes gioca al gatto e topo proprio con lʾemozione primordiale: la paura. Dapprima il giaguaro versione baby, poi i piranha assetati di sangue: un vedo/non vedo carico di suspance. Lʾidea del nascondiglio sappiamo essere la carta vincente dellʾhorror, ma Joaquim parla di carica espolosiva, di anima inquieta e furibonda, di vittima fra le vittime. Forse la paura si genera dallo stesso protagonista, dalla visione di queglʾocchi così avidi e smaniosi. Inutile mostrare bestie tanto prevedibili nella loro caccia e magari perdersi lo sfacelo di un anima. Chi fa più paura? Ma quando il giovane vuole abbandonare la solita pelle e innescare esplosioni vitali, ci pensa Gomes a rimetterlo a posto, a farlo sedere come un bambino che deve imparare a controllarsi.

La miseria, lʾesclusione, la beffa: tutte le carte del mazzo “gloria futura”. Come martire cristiano, Joaquim deve rappresentare lʾimmaginario del Belzebù redento, del reietto, del traditore, dellʾincolto pezzente asceso alla santificazione. Qui la caduta autoriale è grossolana e va a compromettere quella l99041meravigliosa doccia urlata da cui lo stesso regista si pone con distanza, come se non avesse alcuna ingerenza da applicare. Ed è proprio lʾacqua lʾelemento trascinante, un tuffo in quella famosa distensione che altrimenti andrebbe perduta, il ricongiungimento con un fato previsto e già abbracciato dalla prima inquadratura.

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