#Berlinale2017 – Sage femme, di Martin Provost

Il miglior film del regista, una specie di Sautet incazzato con un’intensa Catherine frot e un’ispiratissima Catherine Deneuve. Fuori concorso

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Les choses de la vie. Con il loro fluire naturale. La nascita, la malattia e la morte. Tutto collegato. Senza soluzione di continuità. Sage femme cattura col cinema la gestualità della vita di tutti i giorni. Contatti tentati. La paura di un abbraccio oppure invece un abbandono. Il cinema di Martin Provost, svincolato dalle ambientazioni di costume di Séraphine e Violette non è mai stato così d’impatto, se non in qualche squarcio in Le ventre de Juliette. Stavolta con Sage femme, decisamente il suo film più bello, appare come una specie di Sautet incazzato, che con la macchina da presa quasi si scontra con i corpi. Il quadro formale non è composto ma balla e vuole trascinare con sé. Si sentono tutti i tremiti e le paure delle due protagoniste, un’intensa Catherine Frot e Catherine Deneuve ispiratissima. La prima è Claire, madre single che ha cresciuto da sola suo figlio. È un’ottima ostetrica e ha dedicato tutta la sua vita al lavoro. i suoi metodi però rischiano di essere superati dalle cliniche più moderne. Un giorno riceve una strana telefonata. E qui entra in gioco la Deneuve nei panni di Béatrice. È una specie di voce che arriva dal passato; era infatti l’amante del padre ed era sparita molti anni prima. Donna dal carattere stravagante ha ora bisogno d’aiuto perché è malata di cancro. Le due donne si trovano così a confrontarsi dopo molto tempo.

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sage femme catherine frotAltre due donne. Come in Violette. Lì c’erano Viollette Leduc e Simone de Beauvoir in un’altra relazione complessa. Qui si sfilano i contorti legami del passato e se ne creano di nuovi. Provost filma con naturale complicità i parti e ha il merito di non forzare mai, dal punto di vista drammaturgico, la malattia. Solo qualche soggettiva sfocata, in un film tutto sul movimento, che cattura l’energia nelle inquadrature da dietro, la nostalgia in un ballo da una calzone di Serge Reggiani. E poi, il terzo personaggio, Olivier Gourmet, che partecipa senza invadere mai la storia tra le due donne.

Sage femme è un cinema a cuore aperto, che ha bisogno di parlare, di confessarsi, di rivelarsi le cose mai dette. Come nella potente scena della ragazza che sta per partotrire e poi si scopre essere la stessa che Claire aveva aiutato a venire al mondo 28 anni prima. Oppure in quel passato. Altro cinema. Con le foto del diapositive del padre di Claire sulle pareti. Come se per un attimo potesse ritornare in vita a tenere unite le due donne. A disegnare un altro passato. Ora che stanno cercando insieme la propria strada.

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