#Berlinale68 – The Real Estate, di Alex Petersén e Måns Månsson

Solo un pasticcio presuntuoso, irritante e inutile, una commedia nera ambientata a Stoccolma dove l’ossessione per il dettaglio sembra essere l’unica idea di cinema. In concorso

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Due cineasti svedese al loro primo film insieme. Entrambi avevano già presentato le loro opere alla Berlinale nella sezione Forum. Alex Petersén con Avalon nel 2012. Måns Månsson con il suo documentario Mr. Governor nel 2009 e The Yard nel 2016. Difficile capire chi ha più colpe per un pasticcio del genere, per un’esibizione di stile che distrugge tutto il climax della commedia nera. Quasi un horror dentro Stoccolma. Dove la protagonista è Nojet, una donna di 68 anni che ha sempre vissuto nel lusso con i soldi del padre. Dopo la morte dell’uomo, eredita gli appartamenti di un edificio nel centro della città. Deve però affrontare gli sporchi traffici che ci stanno dietro al mercato immobiliare svedese.

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Ogni inquadratura sembra appositamente sezionata. Proprio per alimentare e far esplodere tutta la dimensione grottesca. Sul volto della protagonista (interpretata da Léonore Ekstrand), i due cineasti creano un continuo attrito con lo spazio circostante. Dove lo sfondo possono essere le slot machine, scenografia quasi da musical. Che mettono a fuoco le rughe sul suo volti, gli occhi pronti ad ogni forma di azione.

the real estate Léonore Ekstrand Christer LevinCome un lungo incubo. Già dagli incontri di Nojet con le persone che vivono nei suoi appartamenti. E dialoghi interminabili, prima dentro un’oscurità dark quasi riciclata da Lasciami entrare, poi invece una parte finale en plein-air ancora più soffocante. La protagonista diventa una specie di marionetta. Negli esercizi in palestra, nelle scene di sesso, quest’ultime decisamente prive non solo di erotismo (perché era voluto) ma proprio di dinamicità. Perché la mdp deve stare così addosso che è lo spettatore che deve cercare di andare oltre il dettaglio e vedere l’insieme. Bella forza. Tutto il risultato di un cinema solo cervellotico, fintamente disturbante, decisamente irritante e per gran parte della sua durata inutile. Che confonde il grottesco con il macabro. La presenza in concorso alla Berlinale resta un totale mistero.

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