#Berlinale68 – Yocho – Foreboding, di Kiyoshi Kurosawa

Spin-off più che sequel di Before We Vanish, un’opera semplice e immediata, meno efficace della precedente. Ma non perde la sua traccia più sincera. Panorama

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Nel cinema di Kiyoshi Kurosawa l’inquietudine è la linea linea d’ombra che demarca il passaggio tra il senso dell’attesa e il peso di ciò che incombe sulle esistenze dei suoi protagonisti: non c’è soluzione di continuità tra il prima e il dopo, la tragedia è uno spazio grigio in cui i cambiamenti in atto si impastano, una tensione indefinita ma pressante che modifica la percezione della realtà a partire dagli stati di coscienza più intimi.

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In questo scenario, che Kiyoshi Kurosawa declina abitualmente nelle forme dell’horror gotico sospeso su drammi esistenziali, si muove perfettamente anche la fantascienza d’invasione proposta dal regista in Yocho – Foreboding (Panorama): il film procede da Before We Vanish (“Sanpo suru shinryakusha”, visto a Cannes 2017), di cui è più uno spin-off che un vero e proprio sequel, tenendo a matrice la stessa pièce teatrale di Tomohiro Maekawa  che già aveva fatto da base al precedente film.

yocho forebodingYocho – Foreboding, giunge del resto a Berlino in una versione cinematografica di 140′, a quanto pare rimontata rispetto alla versione televisiva di pari durata (5 puntate da 28′) messa in onda lo scorso settembre da Wowow, la rete satellitare nipponica che l’ha prodotto. Come in Before We Vanish, Kurosawa applica al tema dell’invasione aliena la sua visione dell’esistenza come traccia della intima frattura tra la coscienza e l’identità: gli extraterrestri che stanno per invadere la Terra sono avidi di quelle umane emozioni che non conoscono e che hanno bisogno di apprendere per poter dominare la nostra specie. Il rimando classico agli ultracorpi ispirati a Don Siegel dal romanzo di Jack Finney è funzionale all’ossessione di Kurosawa per il doppelgänger, ovvero per lo sdoppiamento che disincarna l’umanità dalla sua aura, ma il film non manca di affrontare anche quella dipendenza affettiva e psicologica, che è nondimeno una sottotraccia tematica piuttosto forte nel suo cinema.

yocho kahoAnche in Yocho – Foreboding, infatti, gli alieni hanno bisogno di adottare una guida terrestre che fornisca loro le cavie cui sottrarre le emozioni col tocco di un dito. Questa volta il film si concentra su Etsuko, una giovane moglie il cui marito Tatsuo è stato scelto come guida dall’alieno impossessatosi del corpo di un medico dell’ospedale dove lavora. L’invasione è sempre più imminente e con essa la fine del mondo, ma Etsuko si rivela una sorta di anticorpo, in possesso di una qualità umana che la rende impermeabile all’invasione psicologica degli alieni. Nella lotta della donna per liberare Tetsuo dalla dipendenza dell’extraterrestre e opporsi all’invasione, Kiyoshi Kurosawa individua la forma di un dramma in cui si gioca la sospensione dell’angoscia di una perdita che riguarda prima di tutto l’invisibile della coscienza. La fine del mondo (qui figurata in una pioggia dirompente che si abbatte sull’intero pianeta) è il topos classico di questo regista proiettato sul rapporto tra sentimento e presentimento, sul sistema rappresentativo di una angoscia che promana dall’indefinito rapporto tra la pienezza dello spirito e la sua perdita. Semplice e immediato, Yocho – Foreboding è di sicuro meno efficace del precedente lavoro ispirato a Tomohiro Maekawa, restando come opera di routine di un autore che del resto sa alternare da sempre i film più necessari a quelli più alimentari, senza perdere il contatto con la sua traccia più sincera.

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