#Berlinale69 – Marighella, di Wagner Moura

Marighella è un film biografico su Carlos Marighella, scrittore brasiliano, marxista, politico e guerrigliero assassinato dalla dittatura militare brasiliana nel 1969. Fuori Concorso

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O medo dá origem ao mal
O homem coletivo sente a necessidade de lutar
O orgulho, a arrogância, a glória
Enche a imaginação de domínio
São demônios os que destroem o poder
Bravio da humanidade
Viva Zapata
Viva Sandino
Chico Science, Monólogo ao Pé do Ouvido

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“Oggi, essere violento o terrorista è una qualità che nobilita qualsiasi persona onorevole, perché è un atto degno di un rivoluzionario impegnato nella lotta armata contro la vergognosa dittatura militare e le sue atrocità.” Questo è un estratto dell’introduzione di Minimanual of the Urban Guerrilla, un testo pieno di consigli su come sconvolgere e rovesciare un regime autoritario, mirando alla rivoluzione, composto da Carlos Marighella, scrittore brasiliano impegnato nella lotta politica, eletto inizialmente tra le fila del PCB, per liberare il suo paese dalla dittatura. Nel 1964 infatti in Brasile un colpo di stato cancellò il governo legittimamente eletto e portò all’istaurazione di un regime di stampo militare che sarebbe durato per 21 anni, golpe favorito ed appoggiato dagli americani. Le idee rivoluzionarie di Marighella erano complementari a quelle di Che Guevara, e prevedevano le città come punto chiave di sostegno per la rivolta armata del contadino, la guerriglia urbana come mezzo per aiutare una rivolta rurale su larga scala.

Il film di Wagner Moura parte da uno dei tanti arresti subiti dal protagonista coincidente con il colpo di stato del 1964. Una detenzione durata un anno e dopo la quale Marighella decise di entrare in clandestinità e mettersi alla testa di un gruppo di uomini e donne armate, in dissidio con la linea prudente del partito che ad un certo punto decise addirittura di espellerlo. Per poi sviluppare alcuni dei momenti salienti prima della sua morte violenta per mano della polizia avvenuta nel 1969, dopo anni di caccia all’uomo. Tale operazione chiama in causa personaggi che erano compagni di battaglia e la loro esposizione come singoli, nelle riunioni per stabilire le azioni idonee alla lotta e la conseguente attuazione del piano. Contemporaneamente mostra il rischio corso dalle stesse famiglie coinvolte, per semplice complicità con i terroristi, come esca per scovarne i nascondigli, e la tensione che le attraversava. La controparte malvagia ha il volto degli aguzzini impegnati ad arrestare e torturare i ribelli, attenti a vigilare sulla violazione delle regole repressive ed il rispetto della censura sull’informazione. Con metodi che prevedono sequestro di persona, giustizia sommaria e quanto di peggio previsto da ogni rispettabile profilo fascista. Polizia pilotata ad alto livello dalla presenza di emissari statunitensi preoccupati a spegnere, in piena guerra fredda, ogni germe di diffusione del morbo comunista.

Nel descrivere questo processo di radicalizzazione il regista resta piuttosto tiepido. Un problema ravvisabile anche in relazione ai moltissimi personaggi della storia, figure rimaste in buona parte abbozzate, come in un grande affresco storico.

In tal modo evita forse di essere classificato come propagandistico, seppure con una precisa presa di posizione. Ma in tal modo perde di potenza propulsiva, quando le musiche invece, in primis Banditismo Monólogo ao Pé do Ouvido sembrano una chiamata alle armi. Uno scontro, anche verbale (se si fosse fatto ad esempio riferimento ai testi) che resta, salvo alcune eccezioni, sullo sfondo, con Wagner Moura che preferisce insistere su aspetti più intimi e sulla successione di eventi che, come un cerchio sempre più stretto, hanno provocato la morte del leader. Manca un qualcosa di febbrile e soprattutto la percezione della reale condizione del paese, che resta purtroppo restituito in controluce.

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