#Berlinale69 – Out Stealing Horses, di Hans Petter Moland

Dal romanzo di Per Petterson, un racconto di formazione, un dramma sentimentale tra tragedia e desiderio. Un po’ lungo nella parte finale ma anche un film autenticamente sensoriale.

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La vita (non) è un lungo fiume tranquillo. Piena di misteri e di segreti. Con eventi culminanti che cambiano improvvisamente il corso dell’esistenza. In Out Stealing Horses (in originale Ut og stjæle hester) del norvegese Hans Petter Moland tornano le ombre del passato di Beautiful Country, un suo film del 2004 che vedeva protagonisti Nick Nolte e Tim Roth. Ma soprattutto entra in gioco lo strettissimo rapporto tra il personaggio e il paesaggio. Quasi elementi indiscindibili. Come In ordine di sparizione e il suo remake Un uomo tranquillo con Liam Neeson, proprio in questi giorni nelle sale italiane. Da lì arriva il riciclaggio dei luoghi innevati. Che creano quasi un isolamento. Personaggi che compaiono dal nulla. Quasi materializzazioni del proprio vissuto.

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Ed è proprio quello che succede a Trond (Stellan Skarsgård, già protagonist di In ordine di sparizione) che, dopo la morte della moglie, decide di ritirarsi nel novembre del 1999, a 67 anni, in un piccolo villaggio nell’est della Norvegia. L’incontro con Lars in una notte d’inverno gli riporta alla mente quello che avvenne nel 1948 quando viveva in una capanna di legno con il padre vicino al fiume. I pomeriggi nella foresta, le corse sui cavalli selvaggi si mescolano a un evento tragico che ha scosso tutta la comunità.

Tratto dal romanzo di Per Patterson, Out Stealing Horses sembra, a una lettura superficiale, sulla linea di quei drammi sentimentali modello Nicholas Sparks quando in realtà è molto più asciutto. Certo, si mescolano più flashback; oltre quello principale del 1948, ci sono i frammenti della Resistenza del 1943 e del 1956. Ma quello principale entra con trasporto emotivo nella mente di Trond. La scena dei cavalli presi al volo, la doccia nudi sotto la pioggia con il padre. E la memoria si riattiva contemporaneamente anche da una prospettiva sonora: i rumori del fiume, degli alberi che vengono tagliati, l’arrivo del temporale. E le prime pulsioni di desiderio verso la madre di Lars. Della quale ci sono quasi dei dettagli soggettivi. Tra ciò che vede Trond e la sua immaginazione.

Un racconto di formazione dichiarato. Anche dalla citazione di David Copperfield di Charles Dickens. Magari un po’ troppo lungo. Soprattutto nella parte finale. Dove forse si avverte lo scarto tra la scrittura del romanzo e il suo adattamento. E non c’è stato il coraggio di tagliare abbastanza. Ma Molland conferma di essere un cineasta sensoriale. Capace di costruire il rapporto tra i personaggi anche da semplici giochi di sguardi. Proprio la contraddizione di un film che a tratti appare troppo parlato in un cineasta che avrebbe bisogno di pochissimi dialoghi. Resta però, incancellabile, quello che avvenne nel 1948. Fulmineo, pieno di rivelazioni. Tra tragedia e desiderio. Il suo ‘vento di passioni’ con la notevole prova di Stellan Skarsgård. Con un occhio forse verso Robert Redford regista.

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