#Berlinale70 – Favolacce. Incontro con i Fratelli D’Innocenzo e il cast

I fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, insieme al cast, hanno presentato oggi Favolacce, in concorso alla 70° edizione del Festival di Berlino

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Il secondo film dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, Favolacce, viene presentato in concorso alla Berlinale, in un incontro dove oltre ai registi è presente anche gran parte del cast. La partecipazione alla kermesse fa seguito a quella dell’esordio nella sezione Panorama di due anni fa con La terra dell’abbastanza. Se il primo film era un racconto di genere, con il noir come cifra distintiva in questo, a detta di Damiano D’Innocenzo, l’urgenza stavolta era proprio anagrafica, con il pensiero di realizzare un film che raccontasse dei bambini, per avere uno sguardo affine al loro. “I film nascono da un sacco di cose“, continua Damiano “quando eravamo piccoli guardavamo il mondo in maniera molto strana, ed anche noi eravamo additati come strani a dire il vero. Crescendo pensavo che il mio sguardo sarebbe cambiato, invece è rimasto lo stesso. Ognuno di noi per vivere si racconta un sacco di stronzate“.

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A completare il pensiero del fratello ci pensa Fabio: “Noi proveniamo dalla periferia e per questo ci riteniamo dei privilegiati, siamo cresciuti prima e senza preservativo. Adesso le generazioni crescono lentamente, soprattutto in Italia. Favolacce parla della provincia, ma affronta tematiche universali. È un luogo più vicino alla dimensione suburbana americana, più aperta della nostra. Quello che vediamo è questo, un’insensibilità verso il prossimo e verso se stessi, parte dall’osservazione del reale. Questo abbiamo voluto ritrarre“. Da un lato vediamo un clima arido, i visi corrucciati, meno belli e più infimi degli adulti. Dall’altro i bambini, innocenti e bellissimi, con la protagonista che secondo il regista richiama alla mente un quadro ottocentesco, che rappresentano il nuovo e non ancora entrati nel retropensiero, nella paura della comunicazione. “Io non considero il film come una vendetta di una generezione sull’altra. Considerata la mancanza di dolo, la rabbia non è nel loro pensiero. È legata piuttosto al loro pudore. Non hanno rancore, sono vergini, hanno preso coscienza di qualcosa che hanno visto e non vogliono farne parte”.

All’inizio del progetto qualcuno gli aveva consigliato di assumere un actor coaching baby, ma l’idea di aver un filtro venne scartata. Lavorare con i bambini, racconta Damiano, è stato complicato, per la loro tenerezza e la loro vulnerabilità, che lasciava trasparire le lacrime nei loro occhi. “Era complicato spiegare ai bambini la violenza dei genitori. Da parte nostra avevamo una responsabilità importante, è stata un’esperienza catartica. I bambini hanno una forza che anche io vorrei avere, hanno la pelle dura, come diceva Truffaut. Il personaggio di Geremia è uguale a noi, ma copriamo comunque i caratteri di ognuno di loro. Siamo ancora introversi e timidi, li sento vicini al ricordo che ho di me“.

Le molte domande per i registi lasciano al cast giusto il tempo di raccontare dell’esperienza sul set e la libertà concessa agli attori di improvvisare, avendo la mente sull’obiettivo da raggiungere, ma con un’investitura di fiducia e responsabilità importante. Elio Germano, già protagonista di un altro film in concorso a Berlino, Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, qui è impegnato in un film più corale. Dice soltanto qualche parola, confrontando appunto i due personaggi con i quali si è confrontato: “Ligabue era un personaggio mostruoso con un’anima, qui abbiamo un’esteriorità piacente, che nasconde qualcosa di terribile“. Anche Fabio D’Innocenzo conferma quanto detto dai protagonisti. Il loro modo di lavorare privilegia un approccio semplice, non troppo studiato, istintivo e senza nessuna programmazione, con loro due a cercare di occuparsi di tutto, ma servendosi dell’aiuto di ottimo collaboratori. Un metodo certamente non convenzionale che però ha trovato la fiducia dei produttori a dargli credito.

Una nota di colore: alla domanda se ci fosse paura come italiani nel far parte della Wuhan Europea, Fabio D’Innocenzo ha risposto senza indugio che non c’è. L’ultimo argomento riguarda la presenza delle scene in cui i protagonisti mangiano spesso presenti nei film europei e, in particolare, italiani, alla quale risponde Damiano: “Una domanda clamorosa e bellissima, sicuramente la migliore del festival, che ha centrato in pieno il punto. Noi abbiamo un debole per il cibo, che può essere seducente o disgustoso, come in effetti avviene anche in Favolacce. Ricordo un film americano su questo argomento, Napoleon Dynamite, con almeno 20 scene in cui mangiavano. Di certo però non vogliamo arrivare al livello in cui si parla del più e del meno mentre si taglia una melanzana”.

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