#Berlinale70 – The Roads Not Taken, di Sally Potter

Un gran casino su tutti i fronti con Bardem che prende in mano il film riproponendo frammenti dei suoi personaggi di Mare dentro e Biutiful. Molta presunzione e solo fumo. In Concorso.

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Le doppie o molteplici identità che si nascondono dietro ogni persona hanno affascinato spesso Sally Potter. Da Orlando a The Man Who Cried fino all’ultimo The Party, ci sono sempre elementi che rivelano progressivamente i protagonisti del cinema della regista londinese. Quasi sempre però alle intenzioni non corrispondono i risultati. Anzi, il cinema della Potter spaccia frequentemente i suoi sentimenti artificiali come autentici. Basta caricare la recitazione dei protagonisti, soffermarsi sui dettagli degli occhi o una lacrima che scende. Con il suo nuovo film, The Roads Not Taken poi, non si ferma davanti a nulla. Racconta la malattia come un romanzo d’appendice. La sofferenza del protagonista viene esasperata dalla prova di Javier Bardem, che ci porta dentro insieme tracce dei suoi personaggi do Mare dentro di Amenábar e Biutiful di Iñárritu. Come il protagonista del film della Potter, sono due figure malate e in caduta libera.

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Il film si apre con Leo disteso a letto. È confuso, gli altri non lo prendono sul serio e solo la figlia Molly si occupa di lui. Non conosce più il suo nome ma nella sua testa ci sono versione parallele della sua vita: il matrimonio con Dolores in Messico oppure uno scrittore solitario colpito dalla bellezza di una giovane ragazza su un’isola greca.

The Roads Not Taken è un gran casino su tutti i fronti. Come già sottolineato, il film lo prende in mano Bardem che guando non ha un regista che lo controlla, fagocita tutto con i suoi personaggi dalle pulsioni distruttive. Gli resiste soltanto Elle Fanning (che aveva già lavorato con la Potter in Ginger & Rosa del 2012) anche se poi la cineasta cerca di mettere in evidenza soprattutto la pietà che Molly prova per il padre e sovraccarica oltre misura un’attrice solitamente efficace e piuttosto diretta nel mostrare gli stati d’animo dei suoi personaggi. Inoltre prende più strade, torna indietro, imbrocca nuovamente quella sbagliata. Da una parte c’è New York, con i rumori della strada, le sirene, il treno che passa. Dall’altra le altre vite possibili tra Messico e Grecia con Salma Hayek completamente sprecata e la Grecia come sfondo da cartolina. Vorrebbe essere intenso ma urla e basta, come in The Party. La scena del cane nel negozio di vestiti mortifica ulteriormente un cinema che pensa di essere profondo e invece non ha niente da dire sull’argomento. Ma ha la grande presunzione di poterlo fare e i risultati sono questi.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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