#Berlinale73 – Laggiù qualcuno mi ama. Incontro con Mario Martone

Mario Martone ci racconta “il suo Massimo Troisi” in occasione della presentazione del suo docufilm a Berlino. Il film sarà in sala in Italia dal prossimo 23 febbraio

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Laggiù qualcuno mi ama, il docufilm di Mario Martone su Massimo Troisi è stato presentato oggi alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Incontriamo il regista in una sala dell’hotel NH Collection Berlin. Il film nasce molto tempo fa, ci dice Martone. I due registi si sono conosciuti a Montpellier nel ’92. Dopo la proiezione di Morte di un matematico napoletano andarono a cena insieme. Dapprima Troisi non disse niente della pellicola, più tardi però, tornando verso casa, prese sottobraccio Martone e cominciò a parlargli del film. La loro amicizia ebbe inizio così.
Non si tratta del solito “documentario agiografico”, come ci mostrano le prime immagini, dove vediamo Martone davanti a un monitor che proietta i film di Troisi. “Volevo studiare la sua arte come se si trattasse di un pittore del ‘400”, ci dice Martone. Viene spesso ricordata l’irresistibile comicità di Troisi, ma in pochi lo inquadrano come regista. “Sono stati fatti tanti documentari su di lui e più ce ne sono meglio è. Era importante per me, però, spostare l’asse e mettere a fuoco il suo cinema, che ho amato. Datemi i suoi film, poi da lì verrà fuori l’uomo.”
Il materiale inedito è merito di Anna Pavignano, ci racconta. Un contributo molto importante: “aveva questi foglietti su cui Massimo aveva scritto sin da quando era ragazzino”. Poesie, idee, battute, su uno dei foglietti troviamo la bozza dell’indimenticabile “Massimiliano – Ugo”. C’era anche l’agenda tra i materiali, “ho pensato a lungo a come riprenderla, come filmarla, è stato molto commovente perché quell’agenda ha segnato sia l’anno dell’operazione sia la sua nascita come artista.”
In una registrazione fatta con Anna Pavignano, una sorta di “seduta psicanalitica”, orchestrata per ridere, sì, ma fino a un certo punto: Massimo si distende e si racconta. Traspare così la sua fragilità, il bisogno di essere riconosciuto. Si parla anche del suo rapporto col padre, l’esigenza di essere visto come figlio. Allo stesso modo, soffriva il fatto di non essere considerato come regista. Le foto del set di Non ci resta che piangere mostrano Massimo sempre vicino alla macchina da presa: traspare questo suo rapporto molto preciso che aveva con la cinepresa. Si sentiva sottovalutato, ci dice Martone, e “questa è l’occasione, per me, di restituirgli qualcosa che gli avrebbe fatto piacere.”
C’era in mente una collaborazione tra i due registi, prima che Troisi venisse a mancare. Purtroppo non c’è stato il tempo. Quando Mario Berardi propose a Martone di fare un film con una sceneggiatura scritta dalla Pavignano (autobiografica e non), Martone rispose che non avrebbe mai potuto prendere un attore e fargli interpretare Massimo Troisi. Venne così l’idea per un documentario. “Il documentario, soprattutto oggi, è un modo di procedere assemblando, costruendo; è il mio Troisi, in questo senso è un film: come quando si crea un personaggio.”
Quella drammaturgia sintetica, spigliata trova ancora oggi spazio sui social. La Smorfia, oggi, non sarebbero ma sono dei youtuber, le piattaforme ne tengono in vita gli sketch in tutta la loro modernità.
Laggiù qualcuno mi ama è in sala in Italia dal 23 febbraio.

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