Berlinguer – La grande ambizione, di Andrea Segre
La ricostruzione narrativa si muove tra la dimensione pubblica e quella privata del personaggio. Ed è un Berlinguer vivo, umano, nonostante il rischio dell’agiografia.
Finora era sempre stata la vicenda umana e politica di Aldo Moro al centro dei riflettori, il grande momento spartiacque della storia italiana del Novecento. Andrea Segre decide di raccontare gli anni ’70 a partire da un altro fondamentale protagonista di quella stagione, Enrico Berlinguer, e dalla prospettiva delle attese, le speranze e le frustrazioni dei militanti del Partito Comunista che era arrivato, nel suo punto di massima penetrazione, a rappresentare un terzo degli italiani. Ma il nodo fondamentale resta sempre il tema del compromesso storico, la “grande ambizione” e il tormento delle discussioni politiche del periodo. E motivo di crisi identitarie profonde, di dubbi, di proteste e divisioni, fino alle più tragiche conseguenze del 1978. Per questo si parte da lontano, dal momento in cui matura e si afferma in Berlinguer la visione di un’alleanza tra gli operai, il proletariato e le forze popolari cattoliche. E precisamente dal 1973, dal drammatico colpo di stato militare che rovescia il governo di Salvator Allende in Cile, e dal viaggio del leader del PCI a Sofia in Bulgaria, in cui si delineano le distanze tra la sua strategia politica e la posizione del blocco sovietico. Viaggio concluso da un oscuro tentativo di attentato a Berlinguer, sinistro presagio delle tragedie a venire. Da lì è un susseguirsi di riunioni di partito, di discussioni strategiche, di comizi e incontri con la base, fino al discorso di Mosca in cui Berlinguer ribadisce la divergenza di prospettiva dal Partito Comunista Sovietico e da Brežnev. Ma il punto di arrivo è comunque il rapimento e l’omicidio di Moro, a rimarcare il suo valore di buco nero della storia e dell’immaginario.
Ecco, la ricostruzione narrativa di Andrea Segre e Marco Pettenello si muove tra la dimensione pubblica e quella privata, tra la ricostruzione puntuale, a volte persino didascalica, delle dinamiche politiche e storiche e la libertà dell’invenzione drammaturgica, che vuole suggerire le infinite dimensioni del personaggio. Di qualsiasi personaggio. Ma in ogni caso, l’intenzione non è indicare la contraddizione o un possibile punto di rottura. Pur nei conflitti interiori, nei dubbi, nelle ansie, nelle paure, il Berlinguer di Segre è un uomo dalla barra e dalla schiena dritte, un esempio di vicinanza, se non di coincidenza, tra l’idea e la realtà. Certo, in questa direzione, il rischio è quello dell’agiografia e della celebrazione. Eppure, sebbene le scene familiari scontino alcune forzature di scrittura, la figura resta umana, umanissima, anche grazie all’interpretazione di Elio Germano, che cerca di porre l’accento su ogni gesto e reazione, persino su ogni piccolo movimento di nervosismo.
Per il resto, la parte più calda, vibrante di film non è negli interni in casa, né nelle stanze di Botteghe Oscure o del Parlamento, dove l’atmosfera si fa plumbea e la voragine del grottesco è sempre a un passo. Sta nelle scene “di strada”, nei momenti di militanza attiva, negli incontri con gli operai e le operaie, con i lavoratori e la gente delle periferie. Sta nell’energia di testa e cuore dei comizi, nel nutrirsi alla radice popolare della lotta, nella rabbia e nella “festa collettiva”. È soprattutto qui che interviene il lavoro sull’archivio, straordinario. Che da un lato integra il racconto e risponde all’esigenza di “economia” narrativa e di messinscena. Dall’altro, restituisce con una forza più immediata i toni e i colori di un’epoca. Fino a vertigini di poesia, come le scene dei balli sul battello lungo il Po. Quell’archivio è come una specie di porta che apre al sogno. E del resto, è una delle tracce più interessanti di un film che, apparentemente, è saldamente ancorato ai fatti, alle vicende, dimensione concreta, materialista, della realtà. Qui tutti sognano, hanno apparizioni, segni, fantasmi o premonizioni. Persino Andreotti, nella maschera sovraccarica di Paolo Pierobon. E ogni sogno raccontato è come una fenditura che apre varchi nella dittatura della Storia. La traccia di un’altra strada possibile.
Regia: Andrea Segre
Interpreti: Elio Germano, Paolo Pierobon, Roberto Citran, Stefano Abbati, Francesco Acquaroli, Paolo Calabresi, Pierluigi Corallo, Nikolay Danchev, Svetoslav Dobrev, Luca Lazzareschi, Lucio Patanè, Andrea Pennacchi, Elena Radonicich, Fabrizia Sacchi, Giorgio Tirabassi
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 122′
Oigine: Italia, Belgio, Bulgaria 2024