Berlinale 75 – Timothée Chalamet presenta A Complete Unknown
L’attore presenta alla Berlinale in conferenza stampa A Complete Unknown di James Mangold, di passaggio nella sezione Berlinale Gala

Timotée Chalamet arriva alla Berlinale per presentare A Complete Unknown, fuori concorso nella sezione Berlinale Special Gala e in arrivo nei cinema tedeschi dal prossimo 20 Febbraio. L’attore, mattatore assoluto del biopic di James Mangold su una delle fasi artisticamente cruciali della formazione di Bob Dylan, quando il cantante scopre il potenziale della chitarra elettrica e, di conseguenza, mette in discussione il suo rapporto con la cultura della folk music proprio all’alba del concerto di Newport.
In un primo momento è stato chiesto all’attore di ragionare sul suo rapporto con Dylan e sulle motivazioni che l’hanno portato a incrociare il suo cammino e a scegliere di interpretarlo in un film.
“Bob Dylan e la sua eredità – ha detto Chalamet – rappresentano un faro per tutti gli artisti, io sono un attore, non un musicista, ma per me è fonte d’ispirazione. Ho accettato il ruolo anche per la possibilità di lavorare con James Mangold e con l’incredibile sceneggiatura che mi ha presentato. Questo progetto mi ha cambiato molto di più di altri, ma l’ho fatto per Bob Dylan, per il mito che rappresenta e, di conseguenza, per far parte della sua visione”.
Per interpretare un personaggio così difficile si è concentrato sulla sua musica. “Volevo che fosse un tributo toccante a quel ragazzo così figo e brillante che era Bob Dylan”.
Durante la conversazione emerge ovviamente la questione ideologica legata all’arte di Dylan, cantautore ma anche, più o meno esplicitamente attivista e lo stesso Chalamet ha provato a ragionare della necessità che Dylan aveva di portare avanti la sua arte senza compromessi e di quanto la musica e l’impegno politico possano andare di pari passo.
Secondo l’attore, il cantante è sempre riuscito a sviluppare la sua arte, anche quando faceva canzoni più politiche. “Dylan era in primis un cantante poi un attivista, ma è la natura della musica e degli artisti a essere attenti ai cambiamenti, mi viene in mente anche Frank Hebert, suo contemporaneo che magari scriveva sulla costa Est mentre Dylan suonava ad Ovest. Sono artisti diversi ma il messaggio su cui strutturavano le loro opere era un avvertimento: stare attenti al potere e a tutti coloro che si professano figure di culto pronte a offrire soluzioni facili” dice.
Chalamet ha imparato a suonare la chitarra per il film e, soprattutto, a suonare in un gruppo, un’esperienza che ha compiuto per la prima volta sul set di Mangold ma di cui si dice entusiasta. L’attore ha ammesso la difficoltà del processo di apprendimento, che però ha potuto sviluppare nel corso di una preparazione monstre di cinque anni e mezzo. In particolare, Chalamet si è detto orgogliosa della sua versione live di A Hard Rain’s Gonna Fall molto simile alla versione di Dylan, un risultato, ricorda, ottenuto quasi “per osmosi”: “non ho avuto una preparazione accademica, dice l’attore, ma ho guardato tanto materiale e ho suonato giorno e notte per il tempo delle riprese, non perché era un obbligo. Ma perché volevo interpretare al meglio Bob Dylan”.
Chalamet descrive il periodo delle riprese come magico e non ha paura di abbracciare un senso di malinconia che accompagna l’ultima fase promozionale del progetto: “forse questa sarà l’ultima volta che parlo di questo film e forse non avrò più ruoli così, è stato un privilegio portare in scena un’artista così e un periodo così pieno di innovazione come gli anni ’60. Studiare questo periodo, queste persone, per cinque anni e mezzo è stato un vero e proprio dono”
Quando gli viene chiesto cosa cerca nei suoi ruoli, l’attore ammette candidamente che, in fondo, il suo obiettivo è lavorare con grandi registi come Denis Villeneuve, Luca Guadagnino e James Mangold su cui spende parole d’elogio “solo lui poteva girare un film così, tira fuori il meglio dagli attori, affidarsi a registi come lui per noi è l’ideale, ti aiuta a non essere troppo “scientifico” nell’approccio. È un maestro”.
L’attore non è spaventato dal successo come Dylan: “Terrò la testa bassa e mi concentrerò sul lavoro, sento che la mia arte è al posto giusto. Anche con questo film ho rischiato, ma è andata bene. Non potrei essere più grato ho interpretato il pensatore di un’epoca”.