Beyoncé & Jay-Z: who run the world?

Dal video davanti alla Gioconda dei The Carters alla tappa romana dell’On the Run Tour, dall’intervista di Letterman a Jay-Z su Netflix al credo FEMINIST di Beyoncé: everything is love e molto altro

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La tappa romana dell’On the Run II, il tour di Beyoncé e del marito gangsta Jay-Z parte, come l’intero lavoro della coppia in questi ultimi anni, con una chiara dichiarazione di intenti, filmati della loro vita privata e l’imperiale scritta: THIS IS REAL LIFE. E proprio come un re e una regina i due entrano in scena: mano nella mano, solidi, granitici, attitude che già caratterizza il nuovissimo video APES**T, brano di lancio del loro ultimo lavoro in coppia, The Carters.
Beyoncé e Jay-z sembrano essere due modernissime opere d’arte che prendono vita e propagano la loro energia nel tempio dell’arte istituzionale, Il museo del Louvre di Parigi. Dove, per intenderci, la Gioconda è sotto vetro da sempre, B. e Jay spaziano tra momenti puramente iconografici, in cui non necessitano di nulla che non sia la loro presenza, e coreografie mozzafiato tipiche del loro repertorio, soprattutto quello di lei. Una rielaborazione personale e forte, site specific, di uno spazio “sacro” che ha, come spesso nei loro lavori, un sapore di rivendicazione. Impossibile non notare infatti che, tra le migliaia di opere custodite al Louvre, mai o quasi, sono rappresentate persone di colore. Ecco il punto, ma non solo.

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Qualche mese fa Jay-z è stato ospite del nuovo show di David Letterman per Netflix, Non c’è bisogno di presentazioni, e l’impressione è quella di un personaggio che possiede un’autorità che va ben oltre lo status di rapper e produttore musicale, sembra quasi il portavoce di una comunità. Tra l’estrema sincerità con cui racconta la sua tormentata infanzia/adolescenza, l’abbandono del padre e lo spaccio di crack nel quartiere di Brooklyn Bed-Stuy, alla spiegazione cristallina a proposito dell’uso controverso della N Word, “concesso” solo ai neri, solo perché negli anni, i rapper, hanno imparato a capovolgere il significato attribuitogli dai bianchi. Per alcuni l’uso di quel termine è bandito, perché è stata l’ultima parola che molti neri hanno sentito prima di morire, dunque esiste una connessione emotiva molto forte con la N word. Difficile spiegarlo in maniera più efficace. Racconta anche di come abbia imparato a rappare, negli angoli delle strade, senza scrivere ma coinvolgendo le persone e della famigerata lotta tra l’hip hop dell’East Coast e della West Coast. Non era una battaglia secondo lui, solo un modo per essere stimolati. Stimolato ad essere il migliore.

Ed ecco Beyoncé. Una vita da fenomeno, altro che la migliore! Qualsiasi cosa una qualsiasi popstar provasse a fare, arrivava puntualmente lei a spazzare via tutto. Forza, talento, intelligenza e un’incredibile abilità nell’intercettare tendenze e prevedere cambiamenti. Tutto questo prima che ammettesse di essere umana e diventasse ancora più interessante, ancora più potente, con Lemonade. Il visual album racconta tutte le fasi, dalla rabbia, all’elaborazione, al perdono, che Beyoncé ha attraversato per superare gli svariati tradimenti del marito. And Keep Your Money, I Got My Own/ I’m just too much for you canta Bey in Don’t hurt yourself, sganciandosi, così, dal fedigrafo Jay-Z e sancendo l’inizio della sua rinascita, che la porterà al perdono e ricongiungimento con il marito, ma con una nuova pelle. Questa nuova identità di Queen B. è ciò che colpisce maggiormente nello show che si è tenuto a Roma lo scorso 8 Luglio, caratterizzato sia da momenti solisti che molti duetti.
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gansta, cantando a squarciagola il suo amore folle, interamente proiettata verso di lui. Beh, all’Olimpico è stata tutta un’altra storia. I Carter sono complici, moltissimo, ma giocano ad armi pari. Lei non ha più bisogno di sculettare come un’ossessa per farsi notare, perché Jay la guarda. Eccome. Non ha occhi che per lei. Ognuno ha il suo spazio, dunque. Ognuno ha il suo momento. Si incrociano, si sfiorano, agiscono e si esibiscono separatamente, prima che insieme. Ma il concerto è di un’unica entità, i Carters, appunto. EVERYTHING IS LOVE, campeggia sul maxi-schermo che, brano dopo brano, racconta la loro storia attraverso intimissimi e toccanti video della coppia, un amore più profondo e misterioso di quello che cantavano oramai 15 anni fa. Un mistero che abbraccia non solo il loro rapporto, ma anche il racconto della cultura black di cui sono indiscussi portavoce, quasi sacerdote e sacerdotessa. Jay Z tira giù il palco con le sue rime e il pubblico è con lui, mentre Beyoncé si esibisce con la grinta che la contraddistingue accompagnata da un corpo di ballo spaziale. Propongono entrambi grandi classici (99 problems, Naughty girl, Bonny & Clyde) alternati a pezzi più recenti tratti da Lemonade e 4:44. Il tutto in una cornice scenografica, cambi d’abito e un gioco di palchi a dir poco pirotecnici.

Il momento più toccante, dopo il Gran Finale in the name of love con Forever Young, è senza dubbio il momento FEMINIST con la combo Formation e Run the World (Girls!). La performance di Beyoncé è energica e coinvolgente e il messaggio assolutamente necessario. Al termine delle due canzoni sullo schermo appare la citazione dalla scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie (“We teach girls to shrink themselves, to make themselves smaller. We say to girls, you can have ambition, but not too much. You should aim to be successful, but not too successful. Otherwise, you would threaten the man. We raise girls to see each other as competitors not for jobs or accomplishments, but for the attention of men”) già usata nel brano Flawless, e in chiusa la mega-insegna FEMINISM. A dimostrazione, ancora una volta, di quanto Queen Bey sia molto più di una popstar.

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