BFF43 – Incontro con Maura Delpero: scoprire il cinema del reale

Per Vermiglio la regista bolzanina ha ricevuto il Premio Speciale al Bellaria Film Festival, parlando delle traiettorie espanse produttive e narrative che il suo cinema contiene

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Dopo i sette David di Donatello Maura Delpero è anche la vincitrice del Premio Speciale BFF43 – I film che liberano la testa alla 43esima edizione del Bellaria Film Festival. Autrice di uno sguardo nuovo nel cinema italiano, con Vermiglio la regista bolzanina ha saputo posare lo sguardo su un certo “cinema del reale”, forte di un lavoro di ricerca approfondito e di una cura rivolta all’attenzione per il territorio. Ad essere centrale però è anche l’attenzione alla comunità e ai rapporti e i sentimenti umani, che in Vermiglio sono il nodo centrale della storia d’amore di Giuseppe e Martina. La regista ha spiegato che “dal punto di vista produttivo per questo film c’è stata l’idea di ripartire da un modello che fosse più orizzontale, meno gerarchico e più collaborativo. Che in qualche modo ho vissuto sempre nel documentario. All’inizio eravamo in due, tre e poi sempre di più, fino a cinquanta, sessanta persone. Ma se in qualche modo ti porti dietro quella scuola può essere molto utile. Io faccio sempre molta attenzione a parlare del documentario come di una palestra perché si una sempre questa espressione; che per quanto può essere vero il rischio, il rovescio della medaglia può essere il considerare il documentario come un’anticamera del cinema. Mentre il documentario possiede una sua dignità. Quello che dicevo ieri (durante la premiazione ai David; ndr) è che abbiamo una nuova e vera ventata di aria fresca nel cinema italiano. Spesso all’estero mi chiedevano di consigliare autrici e autori interessanti e mi trovavo un po’ in imbarazzo, perché non c’era davvero qualcuno che trovavo interessante. Poi sono arrivati gli anni in cui abbiamo iniziato a parlare di questo cinema del reale e penso che abbia fatto molto bene all’industria.

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Parlando invece dell’ispirazione che ha mosso il desiderio di scrivere e dirigere Vermiglio, Maura Delpero ha raccontato che “per me l’ispirazione è sempre il reale, come in Maternal, che fu una decisione immediata. Ho fatto quattro anni di lavoro in queste case famiglia, e inizialmente ho dovuto capire se fosse possibile raccontare entrando con una camera; ed è stato proprio il luogo a farmi capire che non avrebbe retto l’invasività. Quindi mi sono messa a scrivere il mio film di finzione, in modo organico. Vermiglio è un film che nasce e in qualche modo si rifà a storie di famiglia, che possiede un carattere novellistico di racconto anche se il procedimento iniziale è stato molto di studio, come si fa col documentario. Il rapporto col territorio, stare nel territorio è fondamentale. Cercare di prendere dal territorio tutto ciò che può offrire, prima che io arrivi con la mia finzione. Per cui è stato un lavoro inverso a quello tipico, dell’arrivare con una troupe, i camion, giare per varie settimane e andarsene. Ho passato anni a setacciare la valle per trovare i volti giusti e portando tutti nel film, anche le comparse. Non c’è stata la richiesta di trovare venti persone con la “faccia da contadino”, piuttosto sono andata nei bar e li ho conosciuti davvero.”

Passando al tema della ristrettezza di una comunità e del cambiamento che avviene al loro interno, in Vermiglio si percepisce anche una voglia di scardinamento delle autorità preposte dal patriarcato e dalla costituzione  intrinsecamente conservatrice del villaggio. La regista ha risposto citando un detto argentino che recita: “Paese piccolo inferno grande”. E prosegue parlando di “una certa nostalgia che abbiamo dei piccoli paesini, che però sono gli stessi che possono che possono chiudersi su di te quando le cose non vanno come dovrebbero andare. Credo che la stessa scelta di Lucia sia quella di perdere sicurezza e contenimento che nella dimensione comunitaria possa favorire una maggiore libertà e la escluda dall’essere vittimizzata, perché in paese in un attimo vieni segnalata. La voce del paese è la stessa della zia, del patriarcato. Mentre sul discorso delle donne che cambiano in Vermiglio a me interessava che ci fossero due generazioni di donne: quella della madre, che non mette in discussione lo status quo, il cortocircuito riproduttivo. Non si chiede dove stiano i suoi desideri. L’unica volta che osa far sentire la propria voce col marito è in difesa del figlio, quindi sempre nella dimensione familiare. Le ragazze invece appartengono a una generazione che inizia a chiedersi che cosa desiderano. Non lo mettono in pratica perché non sono ancora i tempi storici giusti, ma sentono che c’è qualcosa sotto che bolle, che scalpita. E senza ideologie femministe, quindi prima degli anni ’70, nel caso di Lucia c’è una necessita, un salto in avanti. Senza la sua tragedia sarebbe rimasta una ragazza di montagna. Per sopravvivere fa uno scatto verso la modernità; verso il bello e il brutto della modernità. Flavia invece porta pienamente la voce della nuova generazione, e infatti è come se in qualche modo il padre lo sentisse. Lei non cede. Ada fa una scelta di libertà e probabilmente se lei si fosse sposata avrebbe avuto un futuro più ordinario, non potendo quindi avere il futuro che desidera di più, quindi studiare ed essere come il papà.

 Nonostante il percorso di Maura Delpero sia stato lineare ma pieno di molte difficoltà per arrivare all’esordio e poi alla produzione di Vermiglio, la regista a proposito delle alleanze che ha trovato nel suo cammino spiega che “è stato un percorso in salita. Ma ho trovato alleanze, nei colleghi e nelle colleghe con i quali ci si aiuta. È stato più lungo di come sarebbe stato se i tempi fossero stati più maturi, ecco; sotto tutti i punti di vista. Io credo che oggi ci siano degli esempi anche come nuovo cammino possibile. Io non ne avevo ad esempio. Forse sono sensazioni diverse.”


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