BFM35 – Tempo, spazio, identità

Si è appena conclusa la rassegna cinematografica 2017 del Bergamo Film Meeting, che da trentacinque anni anima Piazza della Libertà e le zone limitrofe della città Bassa per oltre una settimana

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Si è appena conclusa la rassegna cinematografica 2017 del Bergamo Film Meeting, che da trentacinque anni anima Piazza della Libertà e le zone limitrofe della città Bassa per oltre una settimana all’insegna degli incontri, le anteprime, i concerti, la birra, i film visti sul pavimento delle sale assiepate, le discussioni con estranei vicini di sedia, poltrona, scalino. L’ouverture di questa edizione è stata sotto il segno della musica, la ribellione, l’arte: l’andare in controtendenza, che sia per innato spirito di contraddizione, necessità anagrafiche o geografiche, pulsioni artistiche, sembra essere uno dei fil rouge che hanno connotato la cifra linguistica della rassegna di quest’anno. Se già era chiara la linea editoriale, con gli omaggi a due autori anticonvenzionali come Jean-Claude Carrière e Miloš Forman ai quali si è aggiunta la personale dedicata a Chintis Lundgren, che ha colorato i nove giorni del festival con i suoi film d’animazione ironici e dissacratori, questo aspetto è stato rimpolpato dai vari eventi musicali e musicati, dalla serata inaugurale al Teatro Donizetti con Amadeus al passaggio di testimone con il Bergamo Jazz,late blossom2 passando per i primi due documentari della sezione Visti da vicino. Le due storie, così lontane tra loro, di Fame (di Giacomo Abbruzzese e Angelo Milano) – su cosa sia stata l’avventura del Fame Festival di Grottaglie tra il 2007 e il 2012, diventato in breve uno degli eventi di street art più importanti al mondo, interrotto all’apice proprio quando aveva smesso di essere dirompente, divertente e criticato, perché con il consenso incondizionato veniva a mancare uno degli spunti fondanti dell’arte – e Late Blossom Blues (di Wolfgang Pfoser-Almer e Stefan Wolner) – che invece racconta una ricerca di consenso di pubblico, con il tardivo esordio musicale tra blues e gospel dell’ottantenne Leo Welch – ci parlano entrambe di tempo. E ci portano, pur su strade e con stili molto differenti, a riflettere sulla creatività, l’arte, quella che nasce e si sviluppa dalla e nella vita di tutti i giorni, che tenta di trasformare la realtà circostante con atti estremi, oppure vive di attese umili per realizzare un sogno soffocato dalla quotidianità.

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Il tempo, altro tema portante nelle storie attraversate dai film di questa edizione, è l’elemento verticale che (ri)annoda i fili dell’identità, in percorsi spesso dolorosi che si confrontano con il passato e con l’eredità storica e generazionale, come fa con ironia Hotel Dallas, o come avviene con drammaturgica potenza nel film vincitore della Mostra concorso, Toril di Laurent Teyssier. Il dramma agreste, epico, che racconta la personale Odissea di Philippe per ritrovare, in senso fisico e metaforico la strada di casa, una strada fatta di onesto e duro lavoro e contatto vero con la propria terra, apre uno spiraglio fortemente centrato proprio sul rapporto con l’identità. toril3Che si tratti di un’identità da negoziare, riscoprire, costruire, le storie che si susseguono e sovrappongono nei diversi lungometraggi visti a Bergamo, ci raccontano proprio lo scarto, generazionale ma non solo, di una serie di sguardi che si riflettono in uno specchio, spesso impietoso. L’attrazione magnetica per i personaggi, una fascinazione che si impossessa dell’occhio della telecamera tanto da inghiottirne i sensi, fagocita le narrazioni, che si tratti dell’egotismo emotivo di un padre, in Waldstille, della lotta per conquistarsi un futuro migliore dell’immigrata Marija, o del percorso di crescita emotivamente tattile della giovane Alba. Personaggi e storie raccontate vengono proposti nella loro straordinaria urgenza, eccedono la linea narrativa, si ribellano – di nuovo la ribellione, altro elemento fondante – a una metodologia discorsiva lineare, tendono continuamente a eccedere lo schermo. È tutto un traboccamento che da dentro tende a uscire fuori, che si manifesta negli elementi strutturali, diegetici, nell’utilizzo della luce, dei suoni, anche e soprattutto dei silenzi. Un’implosione silenziosa, che tenta di rintracciare una soggettività che è anche di genere: i film di questa edizione del Bergamo Film Meeting, infatti, si declinano con decisione verso una connotazione che sfoglia con lirismo, durezza, empatia, la carica emozionale femminile e maschile.

Se le donne ritratte in lungometraggi come Fale, Marija, Voir du pays, sono caratterizzate da un conflitto interiore che ne investiga la forza propulsiva verso e contro il mondo esterno, le figure maschili proposte nei film di quest’anno portano con sé il fascino conturbante di una fragilità e un tormento che pone in dubbio la stessa essenza costitutiva del concetto di mascolinità. Come nel messicano El charro de Toluquilla di José Villalobos Romero, che vince ex aequo nella categoria Visti da vicino, dove il machismoel charro2 del protagonista Jaime ad altro non serve se non a evidenziare con ancor più potente carica drammatica la contraddittorietà degli stereotipi culturali. O come in Alba, che accanto al difficile coming of age della protagonista, ritrae la gracile figura paterna di Igor. Paternità: è questo il concetto cardine, che ha scoperto e mostrato la carne viva delle anime degli uomini di questa 35a edizione del festival, questo il sentimento fondante e viscerale nel quale si instaura la ricerca e la scoperta di una identità maschile, un tratto che con originalità apre a un universo cinematografico ancora tutto da esplorare e qui affrontato con delicata onestà. Mentre Toril e El charro de Toluquilla ritraggono entrambi il rapporto tra padri e figli, l’altro vincitore della sezione Visti da vicino, Als Paul über das Meer kam/When Paul came over the Sea del tedesco Jakob Preuss ci porta infine all’ultimo dei tratti fondamentali scovati nei film di quest’anno: il rapporto con la territorialità. Nel suo diario di viaggio, nel quale racconta l’incontro con il migrante Paul, originario del Cameroon e diretto dal Marocco alla Spagna, Jakob porta alla luce – inscrivendola sul vivo corpo del suo protagonista – la tematica dei percorsi di migrazione, il concetto di Europa, di nazionalità, i rapporti contraddittori tra ‘nord’ e ‘sud’ del mondo.

Place, plaats, lugar, θέση, lieu, sæti, miejsce: il luogo, declinato nelle sue infinite varianti linguistiche e stilistiche, ci racconta un rapporto con l’ambiente circostante che nei film protagonisti della rassegna bergamasca di quest’anno diventa elemento fondativo, vero e proprio personaggio centrale nelle storie raccontate. Non solo sfondo dunque, ma vero e proprio soggetto metaforico ed espressivo. when paul1Un luogo pervasivo e asfissiante, come in Waldstille, Toril o Fale, che può essere disturbante o incutere timore, come in Voir du pays e Alba, rappresentare una possibilità di riscatto come in Jätten e Marija. E l’elemento della località rappresenta un forte tracciato discorsivo anche nei tre autori protagonisti delle retrospettive di Europe, Now!. Thanos Anastopoulos, Dominique Cabrera e Dagur Kári interpretano e mostrano sul grande schermo tre diverse visioni del luogo, come posto dell’anima, tracciando traiettorie e suggestioni sociali, politiche, liriche, tra precipizi marsigliesi, spiagge murate, freddi paesaggi nevosi. Un rapporto con la località che si fa loquace mediatore culturale al confine tra reale e finzionale, tra arte e vita.

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