BFM40 – Il rapporto tra viaggio e morte nella sezione “Visti da vicino”

Dalla sezione documentaristica, un percorso di visioni che attraversano uno sguardo lucido e articolato, sui temi del viaggio e del rapporto tra vita e morte, spesso intrecciandoli tra loro

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La sezione “visti da vicino” dedicata ai film documentari ha conquistato l’attenzione del pubblico durante il festival bergamasco. Una vasta rosa di titoli, provenienti da tutto il mondo, si è dimostrata in grado di raccogliere il dato sensibile della realtà è di filtrarlo attraverso lo sguardo della macchina da presa.

Delle dodici produzioni presenti, abbiamo selezionato un percorso di visioni che riesce a riflettere, attraverso uno sguardo lucido e articolato, sui temi del viaggio e del rapporto tra vita e morte, spesso intrecciandoli tra loro.

Il primo sguardo ravvicinato su cui riflettere è quello di Paul Sin Nam Righter, regista di origini coreane, autore di Dealing with Death. “Il dialogo con la morte”, proposto dal regista, raggiunge Bijlmer, un quartiere multiculturale nel sud-est di Amsterdam. La macchina da presa di Richter segue passo dopo passo Anita, la direttrice di una casa funeraria che dovrà sorgere nel quartiere. Il suo compito è quello di scoprire le esigenze e cercare di assecondare le richieste delle diverse comunità presenti nella zona. Nel corso degli anni raccolti all’interno del documentario, Anita ascolta e dialoga con centinaia di persone ed entra in contatto con alcuni tra i riti funebri più distanti dalla cultura europea. Sono queste le occasioni in cui la macchina da presa abbandona momentaneamente la protagonista e si avvicina con grande rispetto alle celebrazioni dei funerali. Come afferma lo stesso regista, lo spettatore ha l’occasione di osservare come la morte, in certe culture, “sia celebrata attraverso la vita”. Il rito, in questi casi, acquista una dimensione vitale che riesce a permeare l’intera visione della pellicola, nonostante la mancanza di un vero e proprio punto vista autoriale. La morte, in questo senso, rappresenta non più il punto di arrivo dell’esperienza vitale ma una tappa, dolorosa quanto necessaria, nel flusso incessante della vita. È la comunità che affronta l’esperienza della morte, abbandonando l’idea, a cui siamo abituati nell’immaginario occidentale, che essa sia qualcosa che si affronta da soli.

Il viaggio abbraccia metaforicamente l’idea di morte anche in It’s not over Yet, documentario di Louise Detlefsen, ambientato in una piccola casa di cura per pazienti affetti da gravi forme di demenza senile. In questo caso, la macchina da presa si muove tra le camere e le sale di questa piccola realtà danese, dove gli anziani sono accompagnati nell’ultimo periodo della loro vita non tanto da un punto di vista medico, quanto da un punto di vista psicologico. Conversazioni, abbracci, risate e condivisione sono le principali cure riservate agli ospiti della struttura. La mdp della Detlefsen si pone alla giusta distanza dai protagonisti della vicenda, raccontando il tentativo di combattere una solitudine a cui gli anziani sono condannati. It’s not over Yet è una pellicola carica di emozioni ma in grado di allargare la propria portata comunicativa attraverso l’uso di un ricco repertorio simbolico che riflette il pensiero dell’autrice su vita e morte. Non è un caso che la prima sequenza si apra con il particolare delle mani di una paziente intente a ricamare all’uncinetto. La vita intesa come un lungo e faticoso lavoro di tessitura, le cui trame non si interrompono mai. “Non è ancora finita” dice, al termine della pellicola, un’infermiera ad una paziente. La macchina da presa poi si sposta su un fascio di erbe che bruciano, che si polverizzano alla potenza delle fiamme. Ma poco prima che si chiuda il film, capiamo che il soggetto dell’inquadratura è la fiamma viva che si alza ancora più in alto di prima, alimentata dalla combustione dell’erba. Invecchiare e morire sembrano confutare il principio vitale ma in realtà lo amplificano, rendendolo ciclico.

La metafora del viaggio della vita assume forme e significati diversi nella ricca proposta di “Visti da Vicino”. Nel caso di The Sailor, c’è il ricordo commosso di un viaggio per mare, vero e al tempo stesso simbolico, durato tutta una vita. Paul Johnson non si è mai fermato ma oggi ha ottant’anni e spostarsi, per lui come per la sua vecchia barca, è praticamente impossibile. Ma la parabola dell’anziano marinaio, raccontata da Lucia Kašova, è giunta davvero al termine? L’ultima sequenza sembra suggerirci il contrario. Paul riparte ancora una volta a bordo della sua nave, tenendo il timone, guardando l’orizzonte e navigando per l’alto mare aperto.

Il viaggio, però, acquista una dimensione prettamente immaginaria attraverso le evocazioni dei protagonisti del suggestivo Venezia altrove di Elia Romanelli. Un film in grado di regalarci un’inedita visione della città lagunare, in quanto non reale ma frutto di un processo di immaginazione.

Impossibile, infine, non citare il vincitore del concorso: Calendar Girls. Nel film di Maria Loohufvud e Love Martinsen il discorso si sposta sulla percezione del tempo che passa in relazione al voler fare ciò che si vuole della propria vita. Ecco che far parte di una squadra di ballo over 60 diventa motivo di orgoglio, rivendicazione ma soprattutto strumento con cui combattere i pregiudizi. Perché, in fondo, it’s not over yet.

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