BFM40 – Tutti i film sono politici. Incontro con Costa Gavras

Il nostro incontro con Costa Gavras durante la retrospettiva a lui dedicata dal Bergamo Film Meeting. Un excursus della carriera del regista di Z – L’orgia del potere e Missing

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Tracciare una linea tra presente e passato attraverso il cinema di Costa Gavras. La quarantesima edizione del Bergamo Film Meeting nasce nel segno del regista greco – naturalizzato francese – a cui è stata dedicata un’approfondita retrospettiva all’interno della dieci giorni bergamasca. Il pubblico ha appena terminato la visione del suo secondo lungometraggio, datato 1967: Il tredicesimo uomo. Un umano quanto crudo dipinto della resistenza francese durante la Seconda guerra mondiale. Nel mezzo dello scontro sugli altipiani delle Cavenne tra nazisti e francesi si inserisce la storia del protagonista (interpretato da Michel Piccoli). Un uomo che ha preso la decisione di non combattere né per gli invasori né per i partigiani ma che, per pura coincidenza, viene prima incarcerato e poi liberato assieme a dodici prigionieri politici francesi. La sua è una posizione scomoda, la sua neutralità diventa, quindi, un elemento di riflessione e scelta da parte dello spettatore.

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Come si può vivere in un Paese in guerra? Questa è la domanda da cui sono partito. In genere o si è per uno schieramento oppure per l’altro. Ma se non si volesse combattere? È una posizione estremamente complicata da mantenere in uno scenario di guerra e la mia volontà era quella di non spingere verso un’assoluzione o una condanna del protagonista, alla fine è lo spettatore che deve decidere.”

Questa atipicità nell’affrontare il war-movie è rimarcata non solo dai personaggi raccontati, ma anche dal modo in cui questi vengono rappresentati. Gavras sottolinea come all’epoca gli interessasse raccontare la storia dei giovani disertori dell’esercito francese, scarsamente equipaggianti e decisamente impreparati a combattere. Questi uomini, infatti, mostrano tutte le loro debolezze, rendendosi agli occhi dello spettatore fallibili e inermi di fronte al dramma della guerra, esattamente come nella realtà.

Si tratta di un film di voci e sensibilità diverse. Un film contro la dittatura che racconta la storia di uomini impreparati a fare la guerra. Per questo, combattono come possono e usano le armi che hanno a disposizione – anche l’ironia – per superare le mille difficoltà che si presentano. Inoltre, non ho voluto utilizzare delle controfigure per le scene di combattimento. Penso che le azioni che compiamo nella realtà non siano mai l’esatta copia di come ce le siamo immaginati. Di conseguenza, ho preferito riprendere i veri attori senza escamotage o controfigure che modificassero il realismo dei loro movimenti e delle loro reazioni imperfette ma umane.”

La carriera di Gavras è contraddistinta dalla produzione di film di carattere politico, sempre schierati a favore degli oppressi e contro chi detiene il potere. Per questo, arrivano al regista molte domande sulla sua concezione del cinema come strumento politico e sul suo personale rapporto con i produttori dei suoi film, a partire dal suo film manifesto: Z – L’orgia del Potere. Gavras non esita ad affermare la sua più ferma convinzione nella libertà artistica da parte del regista. Il cinema è politica e la libertà espressiva è sicuramente il requisito di partenza per realizzare un film.

Quando ho realizzato Z – L’orgia del potere, nessuno sapeva che tipo di film stavo facendo e, di conseguenza, a nessuno interessava. Quando poi è uscito è chiaro che qualcuno abbia avuto da ridire, etichettandolo come comunista. Resta il fatto che non ho avuto pressioni durante la realizzazione, il che è fondamentale. Per me i film non devono subire alcuna pressione esterna, il regista deve essere libero. Si tratta di un personalissimo dialogo tra regista e pubblico, senza filtri o censure.

L’inalienabile diritto alla libertà, la forza della resistenza. Il cinema di Gavras passa da questi due assoluti che affondano le proprie radici nella storia personale del regista, fuggito in Francia a soli vent’anni a causa della dittatura dei colonnelli che si era instaurata in Grecia.

La Francia era l’unico paese dove l’istruzione era gratuita. Ho studiato letteratura e poi cinema. Mi è stata data la possibilità di effettuare uno stage come secondo assistente. Da quel momento, mi si è aperta la strada per diventare chi sono oggi. Devo molto alla Francia.”

Prima assistente alla regia, poi regista all’esordio nel 1965 con il noir Vagone letto per assassini (che dà il via alla sua lunga collaborazione con Yves Montand e Michel Piccoli), passando per il già citato Z, La confessione e Missing, per arrivare al suo ultimo lavoro, presentato a Venezia nel 2019: Adults in the Room. La filmografia di Gavras inquadra da quasi sessant’anni una società sempre più egoista e schiava delle dinamiche economiche che regolano il mondo. Come ne Il cacciatore di teste (2005), per Gavras si è ridotti ad essere rivali uno dell’altro, ciò che interessa all’uomo contemporaneo è esclusivamente il proprio tornaconto personale.

“Questo fa sì che nessuno pensi più alla comunità, allo stare insieme. Ognuno pensa esclusivamente al profitto. Però, non si può vivere così, non si può vivere di soli se stessi.”

È questa denuncia il file rouge che lega idealmente tutta la poetica di un autore come Gavras, sempre coerente nella porzione di campo che decide di occupare durante i suoi film, che si tratti di un melodramma o un film d’azione. Le sue opere sono, prima di tutto, storie di persone e di ciò che accade loro sotto la morsa del potere. A chi gli chiede se ha individuato dei giovani registi che abbiano realizzato dei film politici, risponde così:

Tutti i film sono politici, in realtà tutto ciò che facciamo o che abbiamo fatto riguarda la politica. SI tratta del comportamento che ognuno di noi mantiene con gli altri. Non si deve, però, dimenticare come il cinema sia soprattutto spettacolo e non un discorso politico. Nessuno avrebbe più voglia di recarsi in sala se pensasse di dover ascoltare un comizio… Servono le emozioni e i Greci, con la tragedia, sono stati i primi ad averlo capito. Il mio interesse da regista è creare emozioni e spettacolo. Allo stesso tempo però ho l’esigenza di denunciare il modello capitalista per cui chi ha soldi può decidere anche per chi non li possiede. In questo senso, se dovessi fare il nome di un film che mi ha colpito direi L’Odio di Kassovitz.”

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