Biancaneve, di Marc Webb
Un regista di cinema supereroistico e un’autrice di narrazioni adulte e al femminile uniscono le forze. Il live-action aggiunge poco o niente, se non uno sguardo più attento sui corpi e le dinamiche di potere

Sulla vanità e lo scontro senza tempo tra spirito di solidarietà e strategia del controllo. C’è chi è cresciuto osservando Biancaneve come fiaba immortale sul significato profondo dell’amore vero e assoluto – capace di risvegliare la bella addormentata nel bosco, da una dose di veleno altrimenti fatale – e c’è chi negli anni è tornato al suo immaginario, osservandone gli elementi forzatamente politici e sociali, precedentemente ignoti, o meglio, estranei. D’altronde le fiabe da sempre ne contengono in grande quantità, pur celati da personaggi adorabili e dinamiche narrative altrettanto pacificatorie. Biancaneve è tra questi.
Nell’epoca dei remake in live-action, la Disney non perde tempo, portando sul grande schermo una nuova versione del classico del 1937, accompagnata inevitabilmente da grandi polemiche e controversie. Dapprima la questione dei sette nani – attori veri o IA? -, poi la scelta dell’interprete protagonista, Rachel Zegler, di origini colombiane, dunque in apparente – e aperto – contrasto con un personaggio “bianchissimo” per sua stessa definizione. Eppure, preso in mano da Marc Webb, precedentemente regista dei due capitoli The Amazing Spider-Man I e II, il progetto va in porto e il remake live-action di Biancaneve vede la luce, riuscendo perfino a vincere le aspettative, come noto ormai, ferocemente al ribasso.
Due gli elementi d’interesse di questo remake firmato Marc Webb: lo spirito lontanamente ‘burtoniano’ e lo scontro tra corpi e ideali circa la femminilità. Se è vero infatti, che la quasi totalità delle sequenze iniziali – quelle della fuga disperata di Biancaneve nella foresta oscura e spaventosa – sembra guardare senza mai nascondersi all’universo di Tim Burton, Il mistero di Sleepy Hollow e Alice in Wonderland su tutti, è altrettanto vero che Webb e Erin Cressida Wilson, sceneggiatrice del film, scelgano ben presto di guardare altrove, arrestando la corsa.
Dal lavoro sul visivo, a questioni di scrittura e narrazione. È interessante in questo senso la partecipazione a Biancaneve della Wilson, nota drammaturga statunitense, nonché firma degli script di Secretary e Fur – Un ritratto immaginario di Diane Arbus, diretti entrambi da Steven Shainberg. Due titoli a loro molto controversi e curiosi rispetto all’indagine sul corpo femminile e i suoi istinti. In misura ridotta e inevitabilmente infantile – o ingenua? –, le medesime tematiche tornano anche in Biancaneve. Lo scontro tra quest’ultima, giovane, fragile e bella e la regina cattiva e coriacea Grimilde (Gal Gadot le aderisce impeccabilmente) ne è un esempio immediato.
Lo scontro dunque tra i due principi di femminilità, in aperto dialogo con la politica. La prima desidera il raggiungimento di uno spirito solidale e collettivo, mentre la seconda un regno del controllo, della violenza e del terrore. Lo sguardo è innocente e Webb come d’attese, non indugia affatto sugli elementi adulti, mettendo in luce la dolcezza e il linguaggio buffo della fiaba. La dimensione musical è piuttosto fiacca, il resto fa sorridere.
Titolo originale: Snow White
Regia: Marc Webb
Interpreti: Rachel Zegler, Gal Gadot, Andrew Burnap, Patrick Page, Ansu Kabia, Emilia Faucher, Colin Michael Carmichael, Joshmaine Joseph
Distribuzione: The Walt Disney Company Italia
Durata: 109′
Origine: USA, 2025