Bif&st 2011 – "London Boulevard", di William Monahan (Anteprime)

Esordio alla regia di uno dei più apprezzati giovani sceneggiatori su piazza (William Monahan – The Departed, Nessuna Verità, Fuori Controllo), questo London Boulevard mutua l’impianto registico dai crudi noir metropolitani anni ‘60/’70 (di John Boorman e Mike Hodges tanto per rimanere in Inghilterra e poi ovviamente Scorsese…), ma in un modo così tremendamente scolastico da asciugare quasi totalmente l’empatia con i caratteri che rimane materia fredda e macchinosa

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Colin Farrell in London Boulevard

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William Monahan è uno dei più apprezzati giovani sceneggiatori su piazza. Premio Oscar nel 2007 per l’adattamento dello scorsesiano The Departed e assiduo collaboratore di Ridley Scott, per il quale ha scritto forse il suo film migliore dell’ultimo decennio: l’incubo teorico di Nessuna Verità. È naturale quindi che il fatidico passaggio dietro la macchina da presa destasse le attenzioni di molti addetti ai lavori. E guarda caso si tratta di un gangster/noir movie, immerso in una uggiosa Londra dei giorni nostri dove Mitchell (un Colin Farrell più dimesso e introspettivo del solito) esce di prigione nella prima scena del film con il desiderio di (ri)iniziare un’esistenza fuori dai guai. Un’occupazione legittima la trova per caso: custode della villa di una ricca e giovanissima star del cinema (Keira Knightley) depressa e perennemente assediata dai paparazzi, che si innamorerà fatalmente di lui. Ma ovviamente si ridesteranno i vecchi istinti del quartiere e i nuovi intrighi di malaffare che risucchieranno Mitchell verso l’inevitabile destino. Quindi un plot che parte da terreni già ampiamente battuti e Monahan ne è consapevolissimo, impegnandosi al massimo a cesellare un mood registico straniante e personale: fotografia desaturata, colonna sonora tostissima e molto invadente (composta da Sergio Pizzorno dei Kasabian) e una dilatazione temporale intervallata puntualmente da improvvise accelerazioni di violenza. Il Monahan regista, insomma, ce la mette proprio tutta per limitare e superare l’impatto marcato del Monahan sceneggiatore, che in questo caso adatta un romanzo di Ken Bruen. Ma ciò di cui si sente tremendamente la mancanza in questo film è proprio l’empatia con i caratteri, che rimane materia terribilmente fredda e macchinosa: lo sceneggiatore non riesce mai a costruire momenti privati per il suo Mitchell che creino collisioni emotive con lo spettatore e il regista non sa sopperire, rifugiandosi costantemente in una orizzontale progressione dell'azione che crei da sola senso. Cosa che,London Boulevard intendiamoci, potrebbe anche essere un gran pregio, ma purtroppo qui si rimane lontanissimi da quella carnale e furiosa messa in scena di cineasti come Don Siegel o William Friedkin che aggredivano il cinema destabilizzandone le leggi di “costruzione”. E, paradossalmente, i momenti più riusciti di questo film restano i rarissimi casi in cui c’è solo Keira Knightley in scena: momenti dove si riesce ad intuire anche emotivamente la forte crisi esistenziale di questa ragazza/immagine/diva.

London Boulevard è pertanto un film che oscilla pericolosamente tra un impianto registico mutuato dai crudi noir metropolitani anni ‘60/’70 (di John Boorman e Mike Hodges tanto per rimanere in Inghilterra, ma poi ovviamente Scorsese…) unito a quella sottile voglia di decentrare sguardo e percezioni tipica del postmoderno. Ma è tutto così freddamente scolastico che questa sorta di Mitchell’s Way si pone esattamente all’opposto del vortice emotivo che creava il Carlito di De Palma. Se lì era il nostro sguardo a “fondersi” con Al Pacino che si dimenava disperato per la stazione di New York, qui restiamo ben piantati sulla nostra poltrona ad assistere da lontano alla tragica parabola londinese del pur bravo Farrell. Forse William Monahan dovrebbe tentare di buttar via la cerebralità di qualche regola ferrea e affidarsi di più all’istinto del suo indiscusso talento.  

 

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