Big Bug, di Jean-Pierre Jeunet

Fantascienza distopica che arriva con 50 anni di ritardo in un maxi ingorgo di personaggi, storie, visioni che non riescono più a procedere da nessuna parte. Su Netflix.

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Probabilmente il cinema di Jean-Pierre Jeunet si è fermato per sempre a Il favoloso mondo di Amélie. Certo, poi ha girato altri tre film prima di Big Bug ma il suo immaginario, tra frammenti di cinema d’animazione, videogiochi, videoclip, pittura e tracce di una poesia realistica, si è soltanto stancamente riciclato. Il suo nuovo film Netflix è il tentativo impossibile di ritornare lì in una chiave fantasy e grottesca. Il personaggio della padrona di casa Alice, interpretata da Elsa Zylberstein, è un’altra reincarnazione della figura di Audrey Tatou. C’è poi ancora quella nostalgia che guarda al passato, alle piccole cose, ai sogni d’amore, alla passione per la scrittura. Non c’è però più via d’uscita. Lo spazio è stretto e claustrofobico. Un’abitazione e l’esterno sulla strada.

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Nel 2045 una rivolta dei droni umanoidi Yonix manda in tilt tutti i sistemi elettronici e rende prigionieri tutte le persone che in quel momento si trovano nell’appartamento di Alice. Il clima tra le persone che si trovano lì dentro diventa ben presto incandescente. Ci sono l’invadente vicina di casa, il seduttore con figlio che teme di morire e perdere la sua memoria, la ragazzina ribelle, il marito con giovane amante che perde ben presto la testa e tenta un’impossibile alleanza con gli invasori e il robot che vorrebbe provare sentimenti umani.

A nove anni da Lo straordinario viaggio di T. S. Pivet, il cinema di Jeunet cerca nuove vie d’uscita per alimentare un film nato vecchio. Con Big Bug si confronta con una fantascienza distopica che potrebbe arrivare da Philip K. Dick dove gli alieni possono essere i familiari o i vicini di casa in un mondo ormai disumanizzato. Il suo però è solo manierismo d’autore e il film rischia di trasformarsi in una volontaria autoparodia proprio del cinema di Jeunet stesso in un film che si anima a scatti proprio come i suoi personaggi, che fa sentire il rumore di ogni passo in un’impianto teatrale dove non c’è mai il senso dello spettacolo. Big Bug è un maxi ingorgo di personaggi (compreso quello di André Dussolier che doppia il robot Einstein), storie, visioni che non riescono più a procedere da nessuna parte. Non c’è passione, desiderio, tensione. Resta solo il fondale, il cartone di un film che si rifugia in una cinefilia che va dal western (lo sguardo tra i robot), a Fellini (la grande parata del circo), Truffaut (i libri bruciati di Fahrenheit 451) per poi tornare a uno dei registi di riferimento di Jeunet, Jacques Tati. Se in Il favoloso mondo di Amélie si spingeva nella ricreazione artificiale di Mio zio, Big Bug guarda invece all’asetticità di Playtime. Non più i riflessi di Parigi sui vetri. Qui è solo un cinema che si specchia su se stesso. Tati immaginava il futuro nel 1967. Jeunet nel 2022. Uno è ancora oggi modernissimo e visionario, l’altro arriva con più di 50 anni di ritardo.

 

Titolo originale: BigBug
Regia: Jean-Pierre Jeunet
Interpreti: Elsa Zylberstein, Isabelle Nanty, Claude Perron, Stéphane De Groodt, Youssef Hajdi, Claire Chust, François Levantal, Alban Lenoir, Marysole Fertard, Hélie Thonnat
Distribuzione: Netflix
Durata: 111′
Origine: Francia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1
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Il voto dei lettori
3.15 (13 voti)
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