Big Sky, di David E. Kelley

Dopo Big Little Lies e The Undoing, un thriller che si aggira su tematiche simili ma in maniera più grossolana, resuscitando vecchi cliché televisivi. Su Disney+

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David E. Kelley è noto per il suo talento nello scrivere in contemporanea più di una serie tv riuscendo comunque a gestirle, nonché per i suoi lavori basati sul campo legale o thriller in cui bisogna risolvere misteri. La sua fama è accresciuta di recente per aver sceneggiato due serie di successo curate dalla HBO, due opere raffinate nella messa in scena e composizione in cui ciò che conta, più dello stesso crimine, sono i messaggi velati che indagano sulla psiche umana – quella femminile, nel ruolo di protagonista o vittima, e quella maschile, quasi sempre nella sua contingenza più maligna – portando a galla diversi lati umani che spesso rimangono trascurati. L’aspetto più interessante del suo ultimo lavoro, The Undoing, anche rispetto al precedente Big Little Lies, è che che viene messa in luce anche la debolezza della donna che, in quanto partner, spesso non riesce a vedere, o sceglie di non vedere, la realtà di chi le sta più vicino. In Big Sky, disponibile su Disney Plus, indirizzata a un pubblico più maturo (14+), l’autore ci regala un prodotto che in un certo senso affronta molte tra le tematiche della sua filmografia: le perversioni e la discriminazione sessuale, incentrandosi per l’appunto su quelle dell’uomo verso la donna, fino alla delicatezza dei traumi psicologici che condizionano la vita, specie in ambito sociale. 

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Kelley ha saputo scrivere dei thriller molto attuali e al femminile, con protagoniste che mostrano più lati della medaglia della loro personalità – in questo caso nel ruolo di detective privati, eroine moderne che non soccombono alla burocrazia e scelgono la strada più impegnativa e tortuosa pur di ricercare la giustizia. Cassie Dewell e l’ex poliziotta Jenny Hoyt, uniscono le forze per risolvere un caso di sparizione nella piccola città di Helena, Montana. Devono ritrovare due sorelle rapite da un camionista su un’autostrada remota di quella zona, così come una prostituta scomparsa quella stessa notte, riportando a galla casi di sparizioni di donne della stessa condizione sociale che vanno avanti da anni ma vengono insabbiati.

Come per le sue ultime serie, anche questa parte da una traccia: il romanzo The Highway di C.J. Box, da cui estrapola una sceneggiatura. Sebbene BLL e The Undoing abbiano conquistato il pubblico soprattutto per l’eleganza della messa in scena, il loro punto forte rimane tutt’ora la scrittura, indi per cui da quest’ultimo prodotto ci si aspettava qualcosa di più impegnativo a livello di struttura, ma non solo fin dalle prime battute si percepisce una certa pigrizia sul piano narrativo, ogni dettaglio presente è anche già stato riproposto molte altre volte sia al cinema che in televisione. Big sky fa un passo indietro rispetto alle opere recenti per riportare in auge i vecchi cliché televisivi, non aggiunge inventiva narrativa e non si cura della copertina perdendo quella raffinatezza, seppur confezionata, delle serie di HBO e divenendo più grezzo sia nei contenuti che nella presentazione. 


Riportando espedienti narrativi simili a quelli di The Undoing, l’autore gioca con il genere; non cambiandolo, ma resuscitando tutti i cliché e sottotesti già conosciuti dai più – non solo dagli appassionati dei thriller. Manipola la risoluzione di ogni singolo episodio per provare a stupire lo spettatore con del materiale conosciuto, “fare ciò che chi guarda non si aspetta all’interno di ciò che in realtà si aspetta”, anche a costo di appesantire troppo la storyline, falsando la suspense quando in modo efficiente quando inutilmente, investendo tutto sulla tensione che fa da arena a ogni episodio, come quando la detective si avventura da sola nella tana di un possibile killer, senza nessuna copertura.

L’identità degli antagonisti è nota fin dall’inizio, rompendo le righe in modo illusorio, e per quanto questo non sia innovativo l’autore ha preferito mostrare come i detective arrivino alla soluzione. Espedienti che tengono lo spettatore incollato ma anche annoiato: si vuole sapere se le protagoniste riescono a fare e avere giustizia, se il bene prevale sul male, se il cattivo riesce a farla franca, se gli innocenti vengono salvati, se la risoluzione di un mistero può finire con lo svelarne un altro; al tempo stesso, qualunque siano le risposte, non cambia il fatto che la messa in scena retrò è insufficiente e che la narrativa non è abbastanza d’impatto per rendere questa storia più di ciò che è: un caso già risolto. A spingere lo spettatore affinché continui la visione è esclusivamente il sapere se, una volta giunti alla fine, ci sia qualcosa di più interessante di una semplice conclusione legata al senso di giustizia; alla fine questo non avviene, o perlomeno è così alla fine di questi nove episodi che costituiscono la trama principale (dal momento che più avanti ne arriveranno altri sette che tratteranno la conclusione dell’opera, essendo rimasto qualcosa in sospeso).

I colpi di scena sono molto elementari, ma spesso alcuni di questi si sono comunque rivelati efficaci, sebbene non abbastanza da rimanere impressi. Il vero punto di forza del prodotto è l’ambientazione del Montana, suggestiva e spaventosa al tempo stesso; ma questo non è più da considerarsi pionieristico nelle produzioni americane, soprattutto per quanto riguarda i thriller, che giocano spesso con le loro ambientazioni immense e suggestive, affascinanti ma che al tempo stesso incutono un timore relegato proprio al fatto che ormai, dopo eccessivi riferimenti, è normale evochino da subito quella sensazione del “non uscirne vivi”, specie se non si conosce il territorio. I lavori di Kelley presentano sempre una località americana specifica a fare da sfondo, come la California, New York, l’Alaska, il Maine; stavolta in Montana, uno degli stati meno popolosi degli Stati Uniti pur essendo vasto e meraviglioso. Viene anche chiamato ”Big Sky Country” (Lo stato del grande cielo), da cui viene il titolo Big Sky, ed è ricco di catene montuose e vaste lande desolate. 


Ambienti sperduti così come spesso è sperduta l’anima di chi ci vive, in cui alcune persone sono abituate a farsi le loro leggi e ove un cittadino straniero si troverebbe spaesato. Il Montana qui fa da metafora, proprio come il suo antagonista, un John Carroll Lynch che non ha bisogno di maschere per risultare mostruoso e credibile nel suo ruolo: un poliziotto che dovrebbe svolgere un lavoro per bene ma che, proprio come l’ambiente che lo circonda, vive di un’apparenza di fiducia per poi svelare la sua vera natura; come nel suo rispettare ogni giorno come un orologio svizzero degli orari abitudinari, quasi con noia, mostrando affidabilità, che si oppone al suo lato più selvaggio e maligno, sprigionato non appena ne ha l’occasione o si sente in pericolo.
Il Montana è lo scenario perfetto: tutto pare immobile, silenzioso, abitudinario, statico. Al suo interno racchiude però personaggi a loro modo squilibrati e rancorosi, che hanno bisogno di sfogarsi per via di quell’immobilità.

C’è tutto: uomini maschilisti che sembra non essere mai arrivati nel ventunesimo secolo, ricordando l’esistenza di un’America progressista solo a metà perché l’altra è ferma alla desolazione sociale; e donne infelici che credono che la vita sia aspettare il rincasare del marito dopo il lavoro – un marito in questo caso insano, essendo un killer e giustiziere di contrabbando sessuale; e infine la figura marginale e traumatizzata di Roland, l’artefice di tutta l’orchestra poiché sofferente della prevaricazione della madre su di lui, a sua volta insana e con evidenti problemi psichici, che va ancora una volta a sottolineare il processo per cui un abuso si può trasformare in qualcosa di più grande; continuando così il discorso sui traumi, già accennato superficialmente nei prodotti seriali dell’autore – e anche qua le cose non cambiano, rimanendo trattati nello stesso modo approssimativo. Per questo, durante la visione, la domanda “chi sono davvero i mostri?” non funziona: la psicologia e la caratterizzazione dei personaggi rimane troppo sbrigativa e relegata al loro ambiente anti-sociale e anti-moderno.

Titolo originale: id.
Ideatore: David E. Kelley
Interpreti: Katheryn Winnick, Kylie Bunbury, Brian Geraghty, John Carroll Lynch, Valerie Mahaffey, Dedee Pfeiffer, Natalie Alyn Lind, Jade Pettyjohn, Jesse James Keitel, Ryan Phillippe, Brooke Smith.
Distribuzione: Disney+
Origine: USA, 2020
Durata: 42-44 m (episodio)

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.8 (5 voti)
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