Billie, di James Erskine

Il ritratto della cantante americana scomparsa prematuramente a 44 anni mette in mostra le fragilità di un’icona, attraverso il racconto di un’America di lati oscuri. Fuori concorso al #TFF38

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La vita bella e dannata delle star. Da Bohemian Rhapsody a Stardustda Rocketman a Quando l’amore brucia l’anima, passando per Nico, 1988.  Il cinema soprattutto negli ultimi anni si sta dedicando all’approfondimento delle biografie delle più grandi personalità della storia della musica, con modalità e approcci differenti. Billie non è una trasposizione propriamente cinematografica, è un documentario che scorre però come un film, poiché l’incredibile vita della cantante nata a Philadelphia sembra nata per essere raccontata sul grande schermo. In effetti, un lungometraggio dedicato a lei è stato girato nel 1972 con Diana Ross ad interpretarla. Si tratta di La signora del blues diretto da Sidney J. Furie.

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«Una delle decisioni più importanti è stata quella di colorare il film. Poiché la vita di Billie è stata vissuta a colori, pensavamo di fare un disservizio al pubblico contemporaneo e alla risonanza della sua storia oggi lasciandola intrappolata nel bianco e nero” ha dichiarato Erskine. Quello che infatti colpisce della sua opera è proprio l’attualizzazione cromatica in un tripudio di colori, immagini, ma soprattutto suoni. La voce di Billie Holiday basterebbe da sola a reggere un intero film. Ma a volte quella voce viene rotta, silenziata, ne viene annullata la potenza. Il racconto delle sue dipendenze, della sua disinibita vita sessuale che finì per causarle anche molta sofferenza, i disastrosi e distruttivi rapporti con i suoi uomini, primo fra tutti il suo terzo marito Luis McKey con cui finì per vivere un amore tossico e violento.

Una storia che si interseca con quella di un paese, l’America, che si trascina dietro i suoi fantasmi. L’FBI, con il suo continuo accanimento nei confronti della cantante, il sottobosco di Harlem con tutte le sue figure, la stampa che demonizza gli errori di chi si trova a fare i conti con la fama. Un paese dove cantare una canzone di denuncia come Strange Fruit diventa un’impresa. Una critica sottile ad una nazione piene di contraddizioni, che in questi mesi sembra più che mai attuale.

Billie porta sullo schermo anche la vita di Linda Lipnack Kuehl, giornalista che a fine anni ’60 decise di scrivere la biografia ufficiale di Billie Holiday, raccogliendo materiale e interviste, in un’ impresa che coinvolgeva più di 200 persone. Ma quell’ opera che non ha mai visto la luce. La donna è infatti scomparsa prematuramente (come l’artista di cui si occupava) in seguito a quello che dalla polizia è stato additato come un suicidio, ma che per la sua famiglia continua ad essere un sospetto di omicidio.

Il film di Erskin parte dai primi passi della Holiday nel mondo del jazz e del blues al malinconico canto del cigno, passando per tutti gli anni in cui il palcoscenico è stato, forse, un po’ troppo difficile da abitare.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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