Billy Bob Thornton – Dell’ombra, dell’assenza

Attore, sceneggiatore, regista, musicista, un po’ fuori dal cliché hollywoodiano. Ritratto di una delle figure emergenti del cinema americano di oggi.

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Il bianco e nero offusca i contorni della scena, la rende stranamente simile ad una assolvenza a tutti gli effetti. Vediamo, ma non distinguiamo. Una mano poi, un uomo seduto, dei capelli che cominciano ad affollare il pavimento della sala. Si tratta di un barbiere, che però scorgiamo a male pena. La luce è troppo forte, quasi accecante. Si direbbe d’essere giunti in una sorta di luogo finale, in cui la riconoscibilità del corpo non viene quasi più contemplata. L’uomo continua a tagliare i capelli e a fumare nervosamente, sublimando la meccanicità del gesto in coazione a ripetere di un corpo presente/assente. Eppure deve esserci stata una traiettoria che ci ha portato fino a qui, un disegno geometrico che ha prodotto questa sospensione della presenza. Proviamo allora a fare due conti con il passato, a leggere lo stato attuale delle cose alla luce di un cammino che ha portato l’uomo sfocato all’interno di questa impasse dell’esserci. Cominciamo dunque con il nome. Billy Bob Thornton. Billy nasce nel ’55 a Hot Springs, in Arkansas. Non immaginatevi nemmeno per un attimo il piccolo Billy ossessionato dall’idea di fare cinema. A quanto pare, non ci pensa nemmeno, visto che il suo interesse principale, la sua vera passione, è la musica, accompagnata da un talento naturale che lo porta presto a farsi due conti in tasca e a concludere che continuando a vivere nel piccolo luogo natio, di strada non ne farà mai. Il tempo di terminare gli studi liceali, di concretizzare la sua voglia di fare musica con la formazione di un piccolo gruppo musicale “Tres hombres” ed ecco che Billy matura in sé l’idea di fuggire, di allontanarsi, e di andare a cercare fortuna in una grande città.

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Parliamo di Los Angeles allora, della grande giungla metropolitana che ospita Billy nei primi anni ’80. Proviamo ad immaginare il giovane Bill in quest’enorme città. Spaesato forse, un po’ intimorito, ma volenteroso, ostinato, desideroso di poter dare sfogo al suo temperamento artistico. Musica o cinema? Diciamo entrambe, ma con qualche riserva, anche perché Thornton pare essere deciso ad intraprendere una carriera di regista o sceneggiatore. La musica lo accompagna sempre, ma per il momento la sua priorità è un’altra. A Los Angeles comunque non è solo. Lo accompagna infatti un suo amico d’infanzia, un certo Tom Epperson, del quale nel frattempo si sono perse le tracce. Fatto sta comunque che i primi tempi non sono facili. I soldi scarseggiano, le possibilità di farsi notare pure, ma Bill non si scoraggia. E’ il 1992 quando le cose iniziano a cambiare: una sua sceneggiatura viene acquistata da un’importante casa di produzione, e il film è finalmente dietro l’angolo. Si chiama “Qualcuno sta per morire”, è diretto da Carl Franklin e naturalmente sceneggiato da Thornton. Diciamo subito che si tratta di una delle opere più interessanti degli anni ’90, capace di lavorare sul genere (è la storia di un poliziotto alle prese con un bel dilemma morale) innescandovi delle riflessioni brucianti sulla moralità del vedere e soprattutto dell’agire. Franklin è un buon mestierante, nulla di più, eppure il film è un gioiellino. Merito della scrittura nervosa e intelligente di Thornton che inizia ad imporre sulla dorata mecca hollywoodiana la seduzione ambigua di uno sguardo mai immediatamente decifrabile. Il passo per la direzione del suo primo film è breve. “Lama tagliente” allora, del 1996. Nei crediti iniziali il nome di Thornton appare tre volte: regista, sceneggiatore, attore protagonista. Il sogno si avvera, un film che reca impresso il suo nome, la sua sensibilità, la sua presenza. Strano a dirsi, ma l’opera in questione vince un Oscar per la migliore sceneggiatura e riceve una candidatura nella categoria della migliore interpretazione maschile. Spieghiamo il senso della nostra perplessità.

Il cinema di Thornton non è esattamente ciò che di più omologato e tranquillizzante si possa immaginare. E’ agitato, inquieto, violento. Per dirla in breve, irriconciliato con la struttura reale che lo ospita. “Lama tagliente” è la storia di un freak, di un emarginato, di un disadattato, pronto a scontrarsi con la violenza del mondo. Ma è anche uno splendido esempio di come il cinema possa/debba ripartire dal corpo per riscrivere la storia della visione. E’ quello che fa Thornton dando vita ad una prospettiva che appare fuori tempo massimo nel suo classicismo sublime e anacronistico che non sembra condividere nulla con il postmodenismo di maniera di tante opere degli anni ’90. Impressione confermata in modo se si può ancora più schiacciante con “Passione ribelle” del 2000. Un’infuocata storia d’amore sullo fondo disfatto del vecchio West, in lenta e interminabile agonia. Il film è stato frainteso, e molti addetti ai lavori avranno ululato di fronte alla riproposizione di luoghi comuni del western vecchi come il mondo, ma ci permettiamo di dissentire. Thornton non se lo pone nemmeno per un attimo il problema di svecchiare un genere (come dimostra il suo ultimo film da regista, nelle nostre sale in questi giorni), o di sperimentare strade mai percorse nel racconto. Interpreta l’occhio appassionato di chi crede in ciò che descrive, è lontano mille miglia dal cinema a tesi che troppo spesso ci capita di vedere, è puro cinema insomma, che non ha mai paura di puntare troppo in alto nello svelamento delle carte passionali di cui si compone. In pochi lo hanno capito, ma va bene così. Una faccia della medaglia Thornton è questa. Gran bel regista, da tenere d’occhio soprattutto per gli anni a venire. Scopriamo la seconda. Raffinato attore, delirante camaleonte irriconoscibile da un film all’altro.
E’ la volta di Thornton attore quindi, ma non intendiamo certo citare tutti i film da lui interpretati in questi ultimi dieci anni . Diciamo soltanto che sono parecchi, ma soprattutto molto diversi tra loro. Accostiamone due con buona pace degli altri: “Armageddon” di Micheal Bay e “Soldi sporchi” di Sam Raimi. Giocattolone ultramiliardario l’uno, opera a budget ridotto l’altro. Sfidiamo chiunque a riconoscere l’attore in entrambi i film. Si tratta di un cambiamento che non ha luogo soltanto nella superficie epidermica, ma anche in quella ben più propenderante dello sfumato, del nascosto, dell’accennato.

L’essenza stessa della performance attoriale è quella di modificare di volta in volta i geni del proprio assetto fisico. In “Soldi sporchi” (nomination all’Oscar per Thornton nel 1996) si giunge alla capitolazione terminale della tragedia umana sotto forma di accanimento primordiale allo “shining” del denaro. Thornton è immerso sino al collo nella fabulazione apocalittica di Raimi, eppure, interpretando la parte di un ritardato, riesce a ricavarsi insospettabili nicchie di senso per far scartare di volta in volta il livello rappresentativo da uno stadio all’altro della materia psicologica. Un volto non identificabile, una smorfia di disgusto e al tempo stesso di dolorosa partecipazione al rituale umano/attoriale dell’identificazione in un qualche stilema espressivo.
Prima di giungere alle nostre conclusioni, vediamo di definire un po’ meglio la vicenda umana di Thornton. Giunto al successo come abbiamo visto a metà anni ’90, Billy conosce nel 1996 Angelina Jolie (l’occasione è il film di Newell “Falso tracciato”) e la sposa. Si tratta del sui quinto matrimonio, ma stavolta pare che sia la volta giusta. Molte anche le sue apparizioni sul piccolo schermo: ha recitato in ruoli fissi nella serie “Hearts Afire” e “The Outsiders”. A teatro poi ha preso parte alle produzioni di “Stella solitaria”e “Un tram chiamato desiderio”. Che dire infine della musica? Come abbiamo ricordato, è stata la sua prima passione che nel corso degli anni non è mai venuta meno. A confermare tutto ciò, nel 2001 Thornton ha pubblicato il suo primo album, “Private radio”, che tra l’altro è stato anche un bel successo di critica. Non possiamo non concludere con la sospensione di presenza accennata all’inizio. “L’uomo che non c’era” dei fratelli Coen, un Thornton immagine sovrimpressa di tutto un genere (quello noir), l’estensione della sua carne attoriale nei meandri bui della deriva postmodern(a)ista. L’uomo che abbiamo tentato di descrivere all’inizio allora ora ci si fa più chiaro. E’ un barbiere, ma non solo. E’ un perdente, ma non ne siamo del tutto certi. Parliamo di ombre allora, di fantasmi, di uomini che non c’erano. Thornton è uno di questi. Invisibile, sfuggente, lontano.Dolorosa sovrimpressione di corpi che non sono più.

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