Biografilm 2025: incontro con Gianluca e Massimiliano De Serio per Canone Effimero
In occasione della presentazione del film in concorso al festival bolognese, i registi hanno incontrato la stampa spiegando quale sia per loro il senso della trasmissione della tradizione

“Il titolo ci è venuto in mente dopo le riprese, durante il montaggio. Ne cercavamo uno che riassumesse le sensazioni ambivalenti che abbiamo provato durante gli incontri che abbiamo fatto mentre giravamo il film”. Parla così Gianluca De Serio a proposito di Canone Effimero, da lui stesso scritto e diretto insieme al fratello Massimiliano, durante un incontro con la stampa avvenuto in occasione della presentazione del lungometraggio al 21° Biografilm. “Da una parte c’era la sensazione di trovarsi di fronte a un linguaggio con dei suoi codici e degli insegnamenti, che sono quelli che danno poi la struttura in capitoli al film. Dall’altra parte c’era la consapevolezza che tutto quello che stavamo sperimentando era destinato in qualche modo a scomparire. C’era questa tensione tra il canone, che ha naturalmente delle radici anche nella musicologia, ma che noi intendevamo in termini filosofici, e la caducità della vita. Questo concetto ha anche una base biologica-naturalistica, perché effimere sono le farfalle che vivono per qualche ora. Poi pensavamo anche alle architetture effimere, delle architetture barocche che si costruivano nelle funzioni religiose e che svolgevano una funzione per quel momento, ma che poi venivano distrutte”.
“Canone Effimero poi è un titolo che racchiude un ossimoro che sta nel documentario in sé” – prosegue Massimiliano De Serio – “Questo è infatti un tentativo di instaurare un dialogo col tempo e con la vita che passa, ma anche un tentativo di costruire qualcosa nella memoria, un monumento quasi. Poi le persone che raccontiamo ci sfuggono comunque e per questo abbiamo sempre trovato difficoltà quando dovevamo narrare la vita di qualcuno, in primis etiche: chi siamo noi per scrivere la storia e poi filmarla, quando le stesse persone sono le prime a non sapere chi sono? Quindi l’idea è appunto di immortalare qualcosa che ci sfugge. Per esempio tre dei protagonisti che hanno accettato di essere filmati non ci sono più adesso, erano molto anziani. Il processo di post-produzione è stato abbastanza lungo e adesso gli ottantacinquenni che ci sono nel film sono morti. Per noi questo significa tanto, significa che forse quello che abbiamo cercato di fare è anche semplicemente un tentativo di ricordare queste persone”.
I due registi si sono poi soffermati anche sulla peculiarità produttiva di Canone Effimero, un film errante, girato entrando in contatto con realtà radicate lungo tutta la penisola. “Per conoscere queste storie innanzitutto abbiamo studiato tantissimo, abbiamo incontrato degli etnomusicologi, con cui abbiamo iniziato questa ricerca, e poi a cascata abbiamo incontrato altri che potevano aiutarci a districarci un po’ nei meandri di una tradizione orale molto diversificata, in parte storicizzata e studiata, ma per il resto a noi sconosciuta. Le situazioni che trovate nel film sono in alcuni casi più celebri, mentre altre sono meno diffuse, destinate ad una comunità più ristretta. A partire dai testi più classici, i testi trovati e gli incontri con questi etnomusicologi, poi abbiamo costruito una mappa di contatti, siamo andati a trovare queste persone e a loro volta queste ci hanno dato altri contatti e via dicendo” ha raccontato Massimiliano De Serio, spiegando come tutta questa mole di lavoro sia stata racchiusa nelle due ore di Canone Effimero. “Abbiamo dovuto compiere una scelta drastica per dare una struttura al film. Alcune cose sono nate proprio in fase di scrittura, altre durante le riprese, ma molte le abbiamo invece pensate durante il montaggio, con la nostra montatrice che è Diana Giromini”.
Il discorso si è poi spostato su cosa significa tradizione nella ricerca dei due registi: “Alcuni dei protagonisti non perseguono nessuna tradizione in senso specificatamente accademico” ha raccontato Gianluca De Serio, citando uno dei tanti casi approfonditi .“Vi faccio un esempio, un ragazzo, Marco Meo, costruttore di tamburelli nelle Marche, non ha interpretato dei canti della tradizione marchigiana come forse anche noi stessi un po’ ci aspettavamo. I suoi erano brani che aveva ereditato da suo nonno, che era un partigiano e che durante la Resistenza aveva creato in prima persona delle canzoni di lotta partigiana. Questa cosa, che nel senso stretto non è una tradizione, per noi era meritevole di essere in qualche modo storicizzata come tale. Quindi quello che è tradizione non è solo ciò che si studia nei libri o che viene codificato, ma anche quello che non resta e che però passa, attraversa le famiglie, le generazioni precedenti e quelle successive. Quindi il concetto di tradizione va un po’ rielaborato. E poi alcune di queste persone reinventano le tradizioni stesse ed è una cosa straordinaria, perché ci dice che questo mondo sotterraneo, che attraversa la nostra cultura popolare, in realtà non è qualcosa di morto, ma continua a vivere in diverse forme e anche in diverse modalità di trasmissione. Quindi Canone Effimero non parla solo di tradizioni, ma soprattutto di che cosa vuol dire oggi tramandare delle forme espressive o delle narrazioni”.
Interviene poi anche Massimiliano, proprio in relazione alla trasmissione stessa della tradizione: “Bisogna riflettere su cosa vuol dire tramandare una tradizione orale, che cos’è la tradizione oggi nelle aree interne, soprattutto italiane, fuori dai grandi contesti culturali, di omologazione, o dei grandi centri urbani, per esempio. Il film è un po’ focalizzato tutto su questo. Prendere questi canti o questi racconti significa anche, da parte nostra e di chi ci ha permesso di farlo e in alcuni casi lo fa già, decontestualizzarli. Per esempio, le Ludus Sessi, che sono un gruppo arbëreshë, di donne giovani e meno giovani del Pollino Lucano, cantano ancora nelle feste tradizionali, vestite con gli abiti tipici, però allo stesso tempo propongono questi canti assoluti, cioè sciolti da ogni legame e in altri contesti, li portano in giro, li contaminano con altre forme musicali. Quindi questa idea è viva, non è morta, non è una cosa reazionaria tentare di riprenderli, ma al contrario, secondo me è un gesto di resistenza all’omologazione e per questo è una cosa che ci parla del futuro, del progresso di una tradizione. Un po’ strano, è un ossimoro anche questo, ma di cui in qualche modo, in quanto documentaristi, abbiamo sentito la necessità di farci carico”.