Biografilm Festival – Intervista a Mark Cousins

Parla di Zelensky e di Putin, del cinema italiano e la sopravvivenza della sala. La nostra intervista esclusiva al documentarista irlandese.

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È il più entusiasta, fra tutti gli innamorati del cinema e della sua storia. È l’autore di The Story of Film, un film documentario lungo un’Odissea, un viaggio infinito attraverso film grandi e film sconosciuti, tutti raccontati, smontati, analizzati con l’entusiasmo di un adolescente.

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È Mark Cousins, 56 anni, irlandese dell’Ulster, docente onorario in tre università – Glasgow, Edinburgo e Stirling – documentarista premiato in tutto il mondo, e ospite d’onore al Biografilm Festival a Bologna .Dove ieri ha presentato il nuovo capitolo del suo eccezionale lavoro, The Story of Film: A New Generation, due ore e quaranta minuti sul cinema dal 2010 al presente. Da Joker a Frozen, da Mad Max alle cinematografie più remote, in Asia, in Africa, in America latina. Il film, presentato in anteprima italiana, sarà disponibile sulla piattaforma Iwonderfull.it da venerdì.

Di Bologna è entusiasta. “Sono stato a visitare la mostra su Pier Paolo Pasolini, uno degli autori che amo di più: ho potuto scoprire tutto il suo amore per la pittura, quello che sostanziato il suo sguardo di regista”, ci dice in un inglese meravigliosamente “irish”. E aggiunge: “Adoro Bologna, e in questi giorni vorrei visitare la chiesa di Maria Assunta, sulla Porrettana, a Vergato, progettata da Alvar Aalto, l’architetto finlandese che venero più di ogni altro al mondo.

 

Biografilm presenta il suo film dedicato al presente e al futuro del cinema. Lei è ottimista: pensa che il cinema sia in salute, più che in ogni altro momento della sua storia…

Sì! Il cinema è un’arte ancora giovane, vive la sua adolescenza. Il suo futuro è ancora davanti: ci sono molti tipi di cinema che sono nati, uno diverso dall’altro. Prima il cinema era una sorgente, adesso è un delta, con tanti differenti corsi d’acqua.

 

Come cambia il cinema con gli smartphone, con la tecnologia?

Il mio telefonino ha un obiettivo Leica 4k. Meglio di qualunque cosa Charlie Chaplin abbia mai avuto a disposizione in tutta la sua vita. E questo non è che un bene. Ma il cinema non ha a che fare con la tecnologia e basta, ha a che fare con quello che abbiamo nella nostra testa.

 

C’è un grande fenomeno storico, ma anche in qualche modo mediatico, cui assistiamo. Come vede l’uso dell’apparato cinematografico da parte di Zelensky: la maniera in cui usa i media, i social, l’immagine?

Zelensky e il suo team vengono dalla televisione. Loro capiscono la televisione. Capiscono l’aspetto ‘live’ della televisione. Zelensky appare live nei Parlamenti in tutto il mondo, appare live al festival di Cannes. Lui e il suo team capiscono ciò che fa un momento potente. Zelensky parla direttamente alla camera, non è cinematografico ma capisce molto bene che cosa è la televisione.

 

Putin e il suo immaginario sono molto più rigidi, più “antichi”.

Putin non è una persona visuale, non pensa per immagini. Il suo immaginario si è formato sotto il Kgb. Riunioni di uomini che fumano tra montagne di scartoffie. Non capisce che cosa dice un’immagine. C’è questa immagine terribile di lui e Macron in questo tavolo, e Macron che siede a dieci metri da lui… Ovviamente la Russia ha una enorme, entusiasmante tradizione cinematografica. Ma Putin non ne ha appreso niente.

 

Qualcosa di molto forte sta cambiando nel cinema. Numerosi premi, nei principali festival internazionali – Cannes, Venezia – e agli Oscar sono andati a registe donne. Penso a Titane, a Chloé Zhao di Nomadland

Trovo alcuni di questi premi entusiasmanti. Titane è fantastico, è un film sul corpo, è un musical sul corpo deviante… I premi nei festival stanno lentamente riflettendo i cambiamenti molto positivi nella cultura cinematografica. Sono molto contento che nuove voci nel cinema ricevano grandi premi.

 

C’è più spazio per le donne, oggi, nel cinema?

Sì: tutti i premi vinti da registe donne nei grandi festival internazionali sono un segno del cambiamento. Ci sono dei cambiamenti nel mondo, e sono molto benvenuti. Ci saranno nuove voci nel cinema del futuro, e saranno voci di donna.

 

 

In Italia, lei ha apprezzato molto una regista donna, Alice Rohrwacher…

“Mi piace molto, di lei, la verità e insieme la sacralità con cui riesce a girare. Lazzaro felice è una grande prova di semplicità e di verità nel cinema. Mi ricorda Pasolini. E il modo in cui il ragazzo di ‘Lazzaro’ si tocca il volto mi commuove, mi ricorda Giotto o Pontormo. Ma ci sono anche altri registi italiani che amo: Matteo Garrone, per esempio. E Sorrentino: per me vedere La grande bellezza è stata un’esperienza psichedelica, come assumere una droga. Mi sentivo ‘high’. Ho trovato un po’ crudele È stata la mano di Dio.

 

Che cosa la interessa nel cinema italiano, nella sua storia?

Il cinema italiano ha sempre segnato grandi momenti di crescita per l’arte cinematografica: con Elvira Notari, per esempio, o con Zavattini, che ha disintossicato il cinema, togliendogli il fascismo. Amo moltissimo Zurlini, adoro La ragazza con la valigia, e Pier Paolo Pasolini. Che ha esercitato un’influenza chiave sulla mia vita. Così come mi ha influenzato Federico Fellini.

 

Lei è riuscito in una impresa titanica, raccontare il cinema del mondo, dalle sue origini, in 15 ore di film. Qual è il suo metodo di lavoro?

Questo!. E tira fuori dalla borsa un lungo papiro, un rotolo di carta tutta scritta a mano, fogli attaccati ad altri fogli con il nastro adesivo. Non uso computer, scrivo tutto a mano, e inserire una scena nuova è facilissimo: taglio con le forbici e aggiungo un altro foglio!. Il grande poeta della storia del cinema è anche un artigiano, uno che sa giocare con le cose. Uno che apprezza la tecnologia, ma anche i pennarelli e la carta.

 

Che cosa è fondamentale, per costruire un documentario come il suo?

La struttura. Vede, qui ho la ‘sceneggiatura’ di un film su Jeremy Thomas: Prologo, Automobili, Sesso, Politica sono i vari capitoli. La struttura: molto low tech, fatta con matite. Ma l’architettura, la struttura di un lavoro è tutto. Fra i miei punti di riferimento c’è Le Corbusier. Cercare il massimo della struttura, ma il massimo di libertà all’interno di questa struttura. Io non sono mai completamente perso nel mio film.

 

In questi due anni abbiamo vissuto di cinema visto sulle piattaforme. La sala cinematografica sopravviverà?

Ne sono più che sicuro. Perché abbiamo bisogno di un’esperienza diversa, di volti e corpi più grandi dei nostri: abbiamo bisogno dell’aspetto rituale. Il cinema è la religione del nostro tempo, e le sale cinematografiche sono le sue chiese. Noi abbiamo bisogno delle chiese, abbiamo bisogno del rituale, abbiamo bisogno del pellegrinaggio nella sala.

 

Lei è andato addirittura in pellegrinaggio a Mosca, o a Lione, dove i fratelli Lumière hanno cominciato a lavorare a quella strana invenzione chiamata cinema…

Sono molto cattolico! Non credo in Dio, ma credo nel pellegrinaggio. E in modo molto cattolico, porto le stimmate della mia fede sulla mia pelle: i nomi di molti dei registi che amo.

 

Che cosa è, in definitiva, il cinema?

Una forma di sublime a buon mercato. Noi vogliamo esperire qualcosa che è più grande della vita, più grande di noi. Vogliamo sentirci al sicuro, ma sentire qualcosa di più grande. Il cinema è una forma di eccitazione, di superamento di noi stessi, per pochi soldi.

 

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