#Biografilm2017 – I’m in love with my car, di Michele Mellara e Alessandro Rossi

Innumerevoli spunti partono dalla riflessione sull’industria automobilistica, troppo incanalati nell’ intenzione didattica con conseguente perdita di respiro delle immagini. Anteprima a Bologna

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Ormai da più di un secolo le automobili sono entrate a far parte della nostra quotidianità e anche quando non ne siamo possessori, ci circondano e decorano l’ambiente cittadino. L’automobile, prolungamento del corpo umano, ci permette di muoverci velocemente e di raggiungere facilmente luoghi lontani; diventa una seconda casa e tutto è ormai così implicito che i suoi prodotti s’insinuano silenziosamente nelle nostre orecchie e nei nostri polmoni. Ultimamente l’emergenza ambientale sta uscendo dai circoli chiusi, aumentano le associazioni di informazioni sul cambiamento climatico, i divi hollywoodiani sfruttano la loro fama per sensibilizzare il mondo, cambia il modo di mangiare in vista della tutela della natura e di chi la abita. E l’automobile, volente o nolente, è ovviamente cattiva protagonista.

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Dopo Terra persa. Storie di land grabbing in Sardegna Michele Mellara e Alessandro Rossi si concentrano sull’industria automobilistica unendo al discorso climatico anche quello antropologico: come le automobili hanno cambiato il modo di vivere e di pensare degli esseri umani? Giocando con la contrapposizione di immagini di repertorio con quelle odierne, aggiungendo interviste ad antropologi e car designer, i due cineasti ragionano sull’oggetto automobile, dividendo il lungometraggio in capitoli legati  ai cinque sensi dell’uomo. Si passa dalle prime esaltanti pubblicità delle automobili alle immagini legate alle malattie respiratorie nel capitolo dell’olfatto; dalle brulicanti e rumorose strade dell’India agli idilli nei parchi con le chitarre per quel che riguarda l’udito.

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Ma è nella parte legata alla vista che lo spunto antropologico trova il terreno più fertile. Il punto è: quanto la nostra visione del mondo è cambiata nell’osservare il paesaggio dai vetri di una macchina piuttosto che da quelli di una carrozza? Tutto è ormai legato alla velocità, lo sappiamo fin troppo bene, l’automobile non è che una delle prime cause/conseguenze di questa velocizzazione. Dai finestrini della macchina alle immagini televisive, tutto fila.
E se si velocizza il tempo si velocizza anche il consumo, gli oggetti e il bisogno si uniscono perversamente e ci definiscono, proprio come la macchina che sia Smart o pandino. Questi gli innumerevoli spunti di I’m in love with my car. L’automobile e l’ambiente, la città che diventa snodo stradale e ridisegna i suoi confini, ripensa il suo spazio. Lo diceva anche Heidegger quando parlava della freccia di legno delle prime automobili, la freccia che divideva lo spazio in destra e sinistra e ripensava il nostro orientamento nel mondo. Dalle riflessioni alle implicite soluzioni, I’m in love with my car aspira alla riscoperta di una salutare lentezza e attraverso le sue immagini suggerisce alternative contrarie a quest’intensificazione di acciaio e smog. Tutto rientra in un discorso preciso e ordinato, ben pensato nella divisione del suo tempo filmico. Ma il film di Rossi e Mellara è fin troppo incanalato sui binari della propria intenzione didattica con la conseguente perdita di un certo respiro delle immagini. Trattate come lavagne dalle statistiche e dalle scritte, le immagini perdono la libertà di esprimersi di fronte alle intenzioni di chi le guarda. 

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