Bitterbrush, di Emelie Coleman Mahdavian

In concorso Nuove Impronte allo ShorTS di Trieste, il lungometraggio della cineasta americana è un inno alla solidarietà femminile e al ritorno alla ruralità, in un Idaho che fa da perfetta cornice

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Il cinema degli ultimi anni ci ha abituati ad un certo approccio al mondo delle vaste praterie americane, approccio che ha sicuramente funzionato dal punto di vista dei riconoscimenti (basti pensare a Nomadland o a Il potere del cane) e che ha attirato il grande pubblico, ma che si è sicuramente allontanato dall’approccio più spontaneo e indipendente a cui spesso è stato confinato in passato. Con Bitterbrush, Emelie Coleman Mahdavian, al suo primo lungometraggio da regista, approccia il genere in maniera spontanea, semplice, priva di orpelli ma non per questo ottenendo un risultato meno incisivo. Attraverso una fotografia molto nitida, fredda nei colori ma familiare nella forma, il racconto di due donne prende forma attraverso lunghi silenzi intervallati di discorsi intimi. Lo scorrere del tempo è dilatato, elemento che potrebbe infastidire lo spettatore più frettoloso, ma che è sicuramente fondamentale al corretto sviluppo del film. Serve tempo per comprendere i discorsi di Collie e Hollyn, le quali vengono catturate nei momenti più quotidiani della loro vita.

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Nei 91 minuti di Bitterbrush infatti non accade nulla di sconvolgente o di estremo, come ci si aspetterebbe da un momento all’altro. Il film infatti non punta a stupire con qualcosa di straordinario, quanto più a far affezionare lo spettatore al mondo che lo accoglierà per un po’ per farlo sentire a casa. L’approccio cerca un sentimento universale, eliminando la centralità del plot, a favore della creazione di momenti topici, statici, ma densi di tensione narrativa, vissuta non attraverso la visione, ma attraverso l’ascolto. Sono infatti diversi i momenti in cui situazioni comuni a tutti, come la morte di un animale o di un genitore, vengono raccontati e vissuti tramite le parole delle due, pronunciate senza nessuna solennità o impostazione, esattamente come accadrebbe nella vita reale, nella quale non ci sono pompose colonne sonore o frasi ad effetto.

Il grande merito di Bitterbrush è quello di fondere il genere western con il dramma e in un certo senso la biografia, perché di fatto il focus del film è sulla vita delle due donne e in questa vita il mondo rurale statunitense rappresenta molto più che un semplice sfondo. La fusione fra uomo, natura e animali non è qui propagandata o dipinta in maniera forzata, la macchina da presa è del tutto invisibile. Il rapporto fra le due sembrerebbe ricordare, in un certo senso anche per gli sviluppi della trama, quello fra i personaggi di Nicole Kidman e Renée Zellweger in Ritorno a Cold Mountain. Con le dovute differenze, infatti, sia il film di Mahdavian sia quello di Minghella mettono in scena un rapporto profondo e viscerale fra due donne e la vita lontano dalla città, alla quale sempre più spesso il cinema sta tornando a guardare con nostalgia.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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