Black Butterfly, di Brian Goodman

Il mind-game film prende le sembianze di un metacinema attento e meticoloso, fin troppo studiato. Con Jonathan Rhys-Meyers perfettamente in parte, forse appena uscito da uno dei suoi periodi oscuri

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Da quando sono esplosi i cosiddetti mind-game film, da quel finale del Sesto Senso che sconvolse tutti e fece capire che lo spettatore durante un film può anche essere preso in giro, tanti ci hanno provato ad alzare l’asticella del gioco della mente. Il problema è che l’immaginario visivo è così saturo di contenuti che un pubblico medio è in grado di capire dai primi quindici minuti a quale genere il film appartenga. Quindi un regista, soprattutto se semi-esordiente come il caso di questo Black Butterfly, non può più sperare di nascondere il fatto che quello che sta mostrando potrebbe essere distorto da una visione parziale dello spettatore, al massimo può puntare tutto sul rendere al meglio l’effetto sorpresa.

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E’ quello che deve aver pensato Brian Goodman da bravo studente di cinema. Si nota infatti dall’estrema lucidità con cui si muove tra le inquadrature classiche del cinema thriller che c’è stato un lavoro preliminare meticoloso sulla scrittura e la messa in scena. Un amore e una dedizione per il cinema che va a confluire nelle pieghe metacinematografiche della trama: uno scrittore (Antonio Banderas) prova a scrivere una sceneggiatura per il cinema ma senza successo. Alcolizzato, solo

gif critica 2nella sua casa isolata, incontra per caso un giovane ragazzo (Jonathan Rhys-Meyers) che lo potrebbe aiutare a cercare l’ispirazione. Niente di nuovo, neanche quando Rhys-Meyers (perfettamente in parte, forse perché appena uscito da uno dei suoi periodi oscuri) si rivela uno psicopatico ossessionato dal completare il lavoro di scrittura. Scavalcando i livelli di significato piuttosto evidenti, non resta che chiederci, appunto, dove sia l’inganno e se sia stato veramente nascosto bene. Questa sfida che inizia lo spettatore con il regista scavalca l’interesse stesso per quello che sta succedendo sul grande schermo e diventa una caccia al funzionamento dell’ingranaggio totalmente slegata dalle immagini che sembravano essere costruite con tanta minuzia. E’ sicuramente un modo alternativo di intrattenere e di attirare l’attenzione quello di pensare continuamente a ciò che ha utilizzato il regista per provare a tirare in inganno in pubblico, ma se l’unica scena che fa fare un salto sulla sedia è quella che ha come protagonista il cameo di Abel Ferrara, forse qualcosa che non ha funzionato c’è.

 

Titolo originale: i.d.
Regia: Brian Goodman
Interpreti: Antonio Banderas, Jonathan Rhys-Meyers, Piper Perabo 
Origine: USA, 2017
Distribuzione: Notorious Pictures
Durata: 93′

 

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