Black Fears Matter! – Viaggio nel black horror contemporaneo

Il saggio del micro-collettivo Dikotomiko esplora il concetto che provocare paura sia l’obiettivo del cinema horror e la storia del popolo nero è una storia dell’orrore. Les Flâneurs Edizioni

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I due autori Massimiliano Martiradonna e Mirco Moretti, che si firmano come Dikotomiko, realizzano con Black Fears Matter! – Viaggio nel black horror contemporaneo (Les Flâneurs Edizioni) un testo che s’impernia su un concetto di fondo espresso attraverso la chiara esplicitazione che provocare paura è l’obiettivo del cinema horror e la storia del popolo nero è una storia dell’orrore. Black history is black horror.

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Partendo da questo punto è possibile tratteggiare una linea che passando dagli anni Cinquanta e Sessanta, caratterizzati da una tendenza all’integrazione, giungono fino al 1968, anno che segna una rottura; in quest’ultimo passaggio, vede la luce il film di George A. Romero La notte dei morti viventi citazione (Night of the Living Dead), nel quale il protagonista Ben è interpretato da Duane Jones; egli è il primo attore afroamericano a conquistare un ruolo principale che non fosse motivato da questioni puramente etniche.

La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968)

Nel 1973, lo sceneggiatore e regista americano Bill Gunn lavora al progetto Ganja & Hess e, grazie a questo lavoro, si aggiudica il Critics Choice Awards a Cannes. Il film, incentrato sulla storia di due personaggi che si trasformano in vampiri, tende a mostrare la graduale trasformazione della società verso una radicale e nuova forma di schiavitù sociale, infatti sia Ganja che Hess, assetati di sangue fresco, iniziano a rubare sacche di sangue dagli ospedali, e assetati di sangue caldo, iniziano a scannare floride prostitute e ragazze madri proletarie. Il film di Bill Gunn trova una continuazione grazie alla rivisitazione del 2014 nel Il sangue di Cristo (Da Sweet Blood of Jesus), diretto da Spike Lee. Quest’ultimo progetto, totalmente indipendente in termini produttivi, conferma le finalità del film originale sottolineando l’assorbimento e il conseguente, inevitabile annullamento degli afroamericani da parte del potere bianco.

Le problematiche e gli attriti presenti all’interno della storia del popolo nero, negli Stati Uniti, vengono analizzate anche dal punto di vista storico. Nel saggio, è indicato che nel romanzo The Black Vampyre: A Legend of St. Domingo, pubblicato nel 1819 da un autore incerto, emerga la prima figura di vampiro contemporaneo e questo medesimo vampiro risulta essere nero. Nel romanzo si narra di uno schiavista bianco che uccide un giovane schiavo africano e ne disperde il corpo in mare e il ragazzo, dopo essere risorto dalle acque, riesce a uccidere il suo stesso assassino e il di lui figlio. Sono evidenti le connessioni di questo romanzo con le tematiche abolizioniste e mercantilistiche del tempo, senza ignorare le importanti tensioni sociali.

Il romanzo ottocentesco citato è la storia sorgente del lavoro del 1995, Vampiro a Brooklyn (Vampire in Brooklyn), di Wes Craven con protagonista Eddie Murphy. Qui la Brooklyn, messa in scena da Craven, è estremamente vivida ma anche estremamente marcia e, è proprio in questo passaggio, che la connessione tra il black horror e il conflitto sociale torna in auge attraverso il pensiero di Karl Marx, infatti la lotta di classe si trasforma in antagonismo tra vivi e non morti, lo sfruttamento diventa dissanguamento dei lavoratori da parte del capitale e la falsa coscienza l’immagine ingannevole della realtà.

La relazione tra questioni sociali e politiche, letteratura horror e black horror torna a imporsi negli anni Ottanta. Questo passaggio storico, con i palazzinari a fare la parte dei protagonisti, vede una profonda incisione nel tessuto urbano e sociale che è visibile anche in epoche più recenti. Qui entra in gioco Clive Barker, scrittore horror, che nel 1985 dà alla luce il racconto The Forbidden, presente nella raccolta Visions. Nel racconto, la protagonista Helen è una ricercatrice inglese, fidanzata frustrata e repressa, che indaga antropologicamente su murales e graffiti nelle periferie: cerca un senso, una narrazione sotto disegni di coiti bestiali e varie oscenità. La protagonista si trova di fronte a una semiotica della disperazione urbana. È proprio in ciò che si manifesta un mostro, cioè un’entità che si palesa, che è vendetta ma non giustizia, ovvero Candyman.

Su questa falsariga, nel 1992, il regista britannico Bernard Rose coglie l’occasione per girare Candyman – Terrore dietro lo specchio (Candyman), interpretato da Virginia Madsen e Tony Todd. Rose delinea un Candyman nero, transustanziato, transumano, o meglio il vero senso di colpa coloniale e la vergogna del razzismo che si incarnano in uno sterminatore con l’uncino. Candyman è sia il risultato di un brutale omicidio sia l’elemento folle e vitale che resiste a qualcosa di distruttivo. Il sequel diretto del lavoro del 1992 è il film Candyman (2021) diretto da Nia DaCosta e prodotto da Jordan Peele; quest’ultimo è uno dei punti di riferimento culturale dell’ideologia sottesa al movimento Black Lives Matter, ovvero l’idea di condurre i neri ad avere una nuova importanza, nel senso di rilevanza e significanza. L’elemento trasversale e onnipresente del progetto di Peele-DaCosta è il rapporto tra comunità nera e polizia, infatti è quest’ultima a rappresentare i veri villain sterminatori, i nemici conclamati e verso questo leitmotiv tende l’intero film.

Gli autori del saggio non mancano nell’analizzare alcune questioni etiche che interconnettono il black horror con la situazione storica e sociale dei soggetti scritti e elaborati dai cineasti. Questo è il caso del duro giudizio di Spike Lee sul film di Quentin Tarantino Django Unchained (2012):” Non guarderò il film… La schiavitù americana non era uno spaghetti western di Sergio Leone. È stata un olocausto. I miei antenati sono schiavi. Rapiti e portati via dall’Africa. Li onorerò”.

Un secondo caso, ma non di secondaria importanza, è rappresentato dal pensiero di Toni Morrison, autrice del romanzo Beloved, che nel 1993 è stata la prima donna afroamericana a ricevere il premio Nobel per la letteratura. Nelle sue parole è sottolineata l’idea che il colonialismo e l’imperialismo abbiano deliberatamente fabbricato il falso concetto secondo cui la cultura e la storia africana sarebbero irrilevanti, riuscendo altresì a prevedere l’aumento della violenza nella società americana fino alla nascita di movimenti come Black Lives Matter: ”.. i bambini, loro non sanno se sei nero, bianco, povero. Si innamorano e basta, poi cominciano ad assorbire quello che li circonda. Imparano cose buone e cose cattive, e nel confronto con gli adulti e i loro coetanei sono estremamente vulnerabili.. la cosa peggiore che un essere umano può fare è quella, far del male ad un bambino. Persino gli assassini, in carcere, appendono le foto dei loro bambini alla parete”.

Un terzo caso lo si può trovare nel libro Screams & Nightmares: The Films of Wes Craven di Brian J. Robb, dove il regista Wes Craven esplicita come la costruzione dell’idea di casa, all’interno del suo cinema horror, non può che essere contigua ad una visione contemporanea laddove la casa diventa sempre più una prigione, più che un rifugio e essa tende a diventare gradualmente uno spazio sempre più inaccessibile, sempre più chiuso, emblema dell’implosione di una società. Per questa motivazione, l’idea di casa in Craven non può che essere espressione di una classe dominante, ovvero il totem della proprietà privata e la quintessenza della Costituzione americana e del suo sistema di valori.

Sulla stessa falsariga si muove la corrente dell’afropessimismo, che inquadra l’idea della schiavitù come intrinseca al sistema e pertanto non affrontabile in termini di politiche inclusive o mutamenti culturali. Frank B. Wilderson III, teorico di questa corrente, ha dichiarato: ”.. la schiavitù può essere definita in termini di morte sociale. In altre parole, la morte sociale definisce il rapporto tra lo schiavo e tutti gli altri soggetti. Il lavoro forzato è un esempio dell’esperienza che gli schiavi possono avere ma non tutti gli schiavi erano costretti a lavorare…la violenza gratuita, che significa che il corpo dello schiavo è aperto alla violenza di tutti. Non ha importanza se riceve questa violenza o no, rimane comunque in uno stato di vulnerabilità strutturale o aperta. Questa vulnerabilità non dipende dalla trasgressione di qualche tipo di legge da parte dello schiavo, come per l’operaio che va in sciopero…cioè l’essere screditato nel proprio essere – penso che questa sia l’essenza della blackness per il resto della società. Sei screditato prima di aver compiuto un atto disonorevole…La rivoluzione nera rende tutti più liberi di quanto vogliano esserlo. Una rivoluzione marxista fa saltare i rapporti economici; una rivoluzione femminista fa saltare i rapporti patriarcali; una rivoluzione nera fa saltare il subconscio e i rapporti in generale”.

Scappa – Get Out (Get Out, 2017)

I due saggisti continuano le loro analisi mettendo al centro i lavori cinematografici di Jordan Peele, cineasta afroamericano di grande successo, distintosi per l’uso acuto del black horror che viene deviato e girato in proporzione alle misure peculiari dei rispettivi film. Progetti cinematografici come Scappa – Get Out (Get Out) (2017), Noi (Us) (2019), Nope (2022) hanno decisamente lasciato il segno in termini di successo e impatto artistico.

Scappa – Get Out ha incassato 253 milioni di dollari, ma soprattutto ha messo in luce in particolare tutte le contraddizioni sociopolitiche americane. Qui, al centro del film è presente il problema del corpo nero, ossia l’idea che il corpo, prima usato all’interno del meccanismo schiavista, adesso venga rivestito con i nuovi tessuti consumistici. Perfino i bianchi, che si dichiarano non razzisti, sono interessati all’incorporamento delle caratteristiche fisiche nere da utilizzare per sé stessi.

Noi (Us) è un film di grande successo che mette in luce le contraddizioni interne alla stessa nuova borghesia nera. I quattro protagonisti si trovano, durante una vacanza familiare, di fronte a loro stessi e quest’ultimi sembrano usciti da una dimensione sotterranea, infernale. Da una parte c’è la luce del sole, il consumo, i luna park mentre dall’altra parte c’è il livello sotterraneo, oscuro, deprivato; anche in questo passaggio, Jordan Peele mette in luce la fragilità degli Stati Uniti, basati sulla divisione e segregazione.

Nope è il film di Peele dove horror e sci-fi s’incontrano e esplorano ciò che non era stato esplorato. In questo passaggio, i temi approcciati restano le relazioni tra gli esseri viventi e ciò che con questo si va ad esprimere. Nel film, ci sono i neri ma la sostanza non cambia, essi erano discriminati prima e lo sono ancora. Nel film appaiono gli alieni, i quali erano misteriosi e aggressivi prima e continuano a esserlo. Gli esseri viventi sono si in grado di trovare un’intesa ma le problematiche crescono quando s’inizia un tipo di comunicazione tra specie diverse.

Nel capitolo numero 9 del saggio è possibile gustare la ciliegina sulla torta attraverso l’esplorazione dell’horrorcore, ovvero uno dei sottogeneri musicali dell’hip hop. Gli autori sottolineano come gli hiphoppers s’identifichino con un mondo di valori positivi diventati col tempo la spina dorsale del movimento. La cultura hip hop ha attraversato gli ultimi cinquant’anni influenzando ogni aspetto dell’arte, del pensiero e della cultura globale. Sotto quest’aspetto va segnalata l’uscita del brano Enough del rapper statunitense Big Daddy Kane, il quale si attesterà sulle posizioni del movimento Black Lives Matter in seguito ai fatti di Minneapolis.

Black Fears Matter!. Viaggio nel black horror contemporaneo di Dikotomiko è un saggio scorrevole e lineare, ricco di informazioni e di analisi. Il testo, diversamente da quanto sembri, non è dedicato semplicemente al mondo cinematografico del black horror ma, bensì, è indirizzato verso l’esplorazione delle differenti interazioni culturali e sociali. Pertanto, il volume risulta essere efficace sia per il pubblico amante dell’horror sia per tutti coloro che hanno voglia di approfondire i cambiamenti culturali e artistici degli Stati Uniti negli ultimi settant’anni.

Black Fears Matter! – Viaggio nel black horror contemporaneo
di Dikotomiko
Les Flâneurs Edizioni, 2023
442 pagine  – 20 euro

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