Black Lion and the Roman Wolf. Haile Gerima a Torino

Un cinema «fertilizzante», capace di alimentare i semi della conoscenza storica nella speranza di migliorare il futuro. Haile Gerima ha parlato al pubblico torinese della necessità di fare film oggi

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Haile Gerima è stato a Torino in questa settimana per la seconda tappa del progetto dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza Visioni del rimosso. Lo sguardo cinematografico sul colonialismo italiano, una retrospettiva integrale organizzata con la collaborazione del Museo Nazionale del Cinema. Figura di spicco nella cinematografia africana, tra i fondatori della “Scuola dei registi neri di Los Angeles”, Haile Gerima è un regista etiope che ha dedicato una grande parte della sua vita a ricostruire la storia lotta e resistenza del suo paese attraverso il cinema e i materiali d’archivio. Gerima è anche un sostenitore dell’idea di un cinema triangolare, cioè un tipo di cinema che può cambiare lo stato attuale delle cose, ma perché avvenga necessità di tre elementi: un’audience intesa come una comunità interessata ad accogliere i film, un regista inteso come storyteller, e una critica attivista e attenta.

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Tra i vari appuntamenti della settimana si è finalmente potuto assistere alla proiezione del primo capitolo del suo Black lion and the Roman Wolf, film sull’colonialismo fascista italiano, work in progress da più di trent’anni a causa di diatribe sui diritti dei filmati d’archivio. Black Lion and the Roman Wolf, che prende il nome dagli animali simbolo dell’Etiopia e della città di Roma, sarà diviso in cinque parti, di cui la prima è The scar of Adua, che racconta di come il popolo etiope riuscì a resistere al primo tentativo di invasione italiana nel 1986. Uno smacco per un esercito che si considerava superiore militarmente e tecnologicamente e una sconfitta culturale per chi era convinto di portare la civiltà tra dei selvaggi. La cicatrice di Adua, che prende il nome da una poesia di D’Annunzio, è una ferita di due popoli: da una parte gli etiopi, che nonostante le perdite vivono con orgoglio quel ricordo di come riuscirono a difendere il loro territorio, dall’altra è una ferita nella cultura italiana che venne sfruttata dal fascismo per guadagnare consensi tra la popolazione (“Adua sarà vendicata” era uno slogan della campagna coloniale fascista).

Il cinema di Gerima ha la forza di puntare i riflettori sua parte della storia italiana troppo dimenticata, ancora oggi vista col filtro di una propaganda fascista mai realmente epurata. Se è vero che al termine della Seconda guerra mondiale i gerarchi nazisti furono processati per i loro crimini di guerra, per l’Italia non ci fu nessun processo per i crimini commessi nelle colonie africane, nonostante vennero usati gas velenosi e la campagna fu condotta con grande ferocia proprio per vendicare lo sfregio di Adua. L’unica figura dell’esercito che fu quasi portata davanti al tribunale delle Nazioni Unite fu il generale Rodolfo Graziani, detto “il macellaio di Fezan” per i suoi metodi brutali, ma la compiacenza del governo inglese fece si che nemmeno lui arrivasse mai a processo.

Black lion and the roman wolf è un film estremamente importante per la cultura italiana. Esso sottolinea la necessità di superare la memoria selettiva del colonialismo al fine di allargare il nostro sguardo, inglobando anche la visione dei popoli feriti. A tal proposito Gerima utilizza una bellissima frase per ricordare questo problema: «Chi ha accoltellato può permettersi di dimenticare, ma chi è accoltellato non se lo dimenticherà mai». Lo scopo del suo cinema è quello di arrivare ad una visione condivisa della realtà storica, perché soltanto includendo differenti punti di vista si può arrivare ad una verità non falsata.

Al termine della proiezione, con i vari ospiti, il regista si è lasciato andare in alcune riflessioni sui diritti d’autore. Il grande problema del suo film, il motivo per cui dopo trent’anni è ancora un work in progress, è che alcuni archivi e istituzioni (tra cui l’istituto LUCE) che possiedono i diritti dei filmati d’archivio non hanno ancora deliberato sul permesso di utilizzarli: «è un sopruso che tu venga ignorato o insultato quando tenti di chiedere, anche accettando di pagare, i diritti per dei filmati che riprendono tua madre o tua zia e che sono stati ripresi sulla tua terra da un invasore» ricorda Shirikiana Aina, attivista, regista e moglie di Haile Gerima che con il marito sta combattendo per la liberazione dei filmati d’archivio.

A tal proposito i due hanno creato una petizione per richiedere che venga garantito il libero utilizzo dei materiali d’archivio ai discendenti delle popolazioni vittime del colonialismo occidentale, un cambiamento che potrebbe si velocizzare il completamento del lavoro di Gerima, ma soprattutto consentire alle generazioni future di riappropriarsi della loro storia senza dover affrontare le difficoltà di accesso attuali.

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