Black Out!

Mentre Sentieri selvaggi riemerge dopo giorni di oscuramento, nel più lungo blackout della nostra storia online, a Torino si sta consumando una piccola tragedia politico/ culturale: si è sgretolato in un conflitto insanabile il più vitale dei nostri Festival. Nanni Moretti prima accetta, poi di fronte alle divisioni fa il "gran rifiuto". E ora?

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BLACKOUT SENTIERI SELVAGGI

Intanto dobbiamo delle scuse ai nostri lettori: per cinque giorni siete (siamo) stati senza Sentieri selvaggi. Probabilmente se proprio dovevamo subire un black out del genere (mai da 6 anni a questa parte eravamo stati per un periodo così lungo off-line, e questo però la dice lunga sul grande lavoro che, pur con i nostri pochi mezzi, stiamo riuscendo a fare in questi anni) il periodo migliore sarebbe stato proprio questo delle feste natalizie, giornate sempre particolari dove probabilmente un po’ tutti dedichiamo a Internet, all’informazione e alla lettura meno tempo. Il problema è un dannatissimo server che, improvvisamente, come tutti i computer di questa epoca tanto tecnologica quanto precaria, ha ceduto di schianto… e non siamo così ricchi e attrezzati da poterci permettere una sostituzione al volo in poche ore. Ci sono voluti giorni e ancora abbiamo dei problemi di assestamento che contiamo di risolvere nei prossimi giorni. A volerla vedere necessariamente positiva possiamo dire che ora il sito si consulta più velocemente e questo è un vantaggio per tutti.

Resta il problema di un giornale quotidiano, redatto con cura e professionalità da un team di una quarantina di persone, che sta vivendo una fase difficile, legata ad una crescita impetuosa e vertiginosa, che ci ha portato a dei numeri fino a pochi anni fa impensabili: 18.000 articoli presenti sul sito (tutti accessibili) 150 sezioni, 250.000 utenti unici mensili, oltre 25 aggiornamenti quotidiani!. Questo ha generato un traffico che mette sempre a dura prova server e bande disponibili, e necessariamente ci imporrà dei cambiamenti nei prossimi mesi. Confidando anche nella collaborazione dei nostri lettori.

Come sapete Sentieri selvaggi è una testata totalmente indipendente, gestita da un’Associazione Culturale non a fini di lucro. Abbiamo sempre evitato di chiedere ai lettori interventi eccezionali (leggi sottoscrizioni) di sostegno, convinti che ce la possiamo fare con le nostre forze, con la qualità del nostro lavoro e con la qualità (e quantità) dei nostri utenti. E infatti in questo 2006 abbiamo avuto un incremento significativo degli investimenti pubblicitari a sostegno della nostra testata. Per questo ai lettori non chiediamo sottoscrizioni per “salvare” il giornale: al contrario chiediamo a tutti di farsi portavoce e contatto per “usare” meglio Sentieri selvaggi, che oggi è uno strumento promozionale di primissima qualità, per chiunque operi nel mondo del cinema (e non solo).

Quindi sosteneteci attraverso le nostre attività: promuovendo le vostre attività sul sito, partecipando alle iniziative della Scuola di Cinema, acquistando i prodotti che scegliamo di offrirvi nel nostro “Shop”. Ma anche continuandoci a spronarci con idee, critiche, proposte.

Per il 2007 dovremo affrontare dei cambiamenti strutturali (il passaggio alla nuova versione di A4 Web) e, speriamo, anche formali e di utilizzo del sito. Che vorremmo sempre più attivo e dinamico, multimediale e interattivo. Ma sempre, anche, libero, indipendente e autorevole.

 

BLACKOUT TORINO FILM FESTIVAL

La vicenda esplosa in questi giorni a Torino ci ha colti nel periodo di “silenzio obbligato” e quindi non vi abbiamo potuto documentare “in diretta” una delle pagine più tristi della Storia di quello che abbiamo sempre considerato il più vitale e bello dei Festival di Cinema italiani. Per chi non ha potuto seguire tutte le tappe del “fattaccio” diamo a fine pagina tutta una serie di link dove poter ricostruire le varie tappe che hanno portato a questo “black out” assurdo e devastante.

Difficile prendere posizione in un contesto simile, anche perché conosciamo personalmente tutti i protagonisti di questo “pasticciaccio brutto”,  e si fa sempre molta fatica a districarsi tra problemi politico/culturali e altri più personali, che si sono creati a Torino in questi anni. Resta il fatto, oggettivo, che è avvenuta una frattura difficilmente sanabile tra coloro che per ventiquattro anni hanno contribuito a realizzare il Festival. Al di là di quelli che Nanni Moretti ha definito “rancori personali” (che pure sono presenti in questa dolorosa storia) resta un problema di fondo sul modo di fare politica culturale in Italia, che la Festa del Cinema romana ha rimesso in discussione.

Festival di cinema in Italia sono nati – tranne qualche eccezione – per la maggior parte agli inizi degli anni Ottanta, sull’onda di quella che era stata la grande stagione dei Cineclub, da un lato, e sull’affermazione delle giunte di sinistra dall’altro. Da allora sono spuntati un po’ ovunque in tutto il paese, proponendo un modo nuovo e spesso alternativo di far vedere cinema. Il Torino Film Festival è stato un po’ la punta di diamante di questo movimento importante e significativo della cultura italiana, ancora terribilmente ignorato dai libri di storia della “cultura nazionale” e del cinema italiano, che nasce nelle Estati Romane dell’Assessore Renato Nicolini alla fine degli anni settanta, per esplodere poi in mille realtà cinefile e popolari come appunto, Torino, Rimini, Bellaria, e poi la Taormina di Ghezzi, e tanti altri festival a Pordenone, Udine, Alba, e nelle principali città italiane come Bologna, Milano, Genova, ecc…  Per quasi un quarto di secolo questo modo allora nuovo di promuovere la cultura cinematografica oltre il circuito commerciale e d’essai, ha rivoluzionato le pratiche della visione, creando davvero un pubblico diverso, affamato di cinema e desiderante, un universo neanche troppo sotterraneo di migliaia di “dreamers” cinematografici.

Enzo Ungari, che di questa fase incredibile del cinema italiano è stato uno dei precursori e realizzatori, ne sarebbe stato orgoglioso. Ma oggi, 25 anni dopo, questo sistema comincia a scricchiolare. Perché nel frattempo il cinema è cambiato, il mondo è cambiato. Il modo di consumare lo spettacolo cinematografico di oggi non è più lo stesso del 1980. Oggi il cinema lo troviamo dappertutto, dai telefonini agli MP4 passando per il Blue ray e l’HD, per non parlare dei videogames, tutte cose, comprese il DVD e il cinema digitale, che fino agli anni Ottanta erano pura fantascienza. Cambia il modo di vedere e di consumare il cinema e pertanto muta la condizione dello spettatore, che subisce un’ennesima mutazione: prima da corpo cinematografico a corpo televisivo, oggi da corpo televisivo a corpo multimediale interattivo.  E se i Festival di cinema degli anni settanta/ottanta segnalavano con lucidità, forza e passione, questo mutamento epocale dello spettatore, oggi è evidente questa incapacità di rappresentare questa nuova mutazione. In questo senso, probabilmente e necessariamente, i Festival DEVONO cambiare. Il problema è come.

Ma quello che sta succedendo invece nel nostro paese non è un dibattito di questo tipo, sul ruolo della promozione culturale cinematografica, sul senso del come fare (vedere) cinema oggi. Sulla centralità o meno della sala cinematografica, sull’idea di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione oggi di un qualunque spettatore ANCHE per fare cinema diversamente. No. Il dibattito è spostato tutto sulla rappresentazione simbolica del cinema, come luogo spettacolare in cui la politica può trovare uno “specchio luminoso” per arrivare al pubblico. E quindi non più la ricerca dei linguaggi, la sperimentazione, il “caos della visione”, ma lo “star system”, le luci e i colori del  “red carpet”, l’omaggio ai “grandi maestri”, il cinema come un enorme Museo da visitare per accrescere la propria cultura.

Ma anche un cinema che crei degli eventi mediatici. E, alla fine, sembra proprio questo uno dei punti nevralgici del sommovimento in corso: la necessità per la politica non tanto (non solo) di intervenire sui contenuti delle manifestazioni culturali, quanto di riceverne un rilancio assoluto in termini di visibilità mediatica. Che oggi, in Italia, arretrati come siamo, significa fondamentalmente visibilità televisiva. E non è un caso che la Festa di Roma, non troppo paradossalmente, ha avuto una visibilità maggiore sui media nazionali che nella realtà urbana (tutto il contrario delle “effimere” Estati Romane nicoliniane, che permeavano la città permettendo ai romani di riprendersi luoghi e territori ormai preda del turismo). Anche il Torino Film Festival rischia di finire vittima di questo incredibile (e arretratissimo) equivoco: maggior visibilità mediatica. La domanda che viene spontanea, soprattutto per un Festival che da sempre ha avuto un grande richiamo di pubblico e un ottimo rapporto con la città, è: perché? Perché viene richiesta ai Festival e alle iniziative culturali sempre più una capacità di rappresentazione mediatica? E’ evidente che il passaggio è significativo: dai linguaggi e la sperimentazione culturale al marketing culturale. Ma detto così è forse semplicistico. Perché i Festival degli anni Ottanta seppero catturare quei fermenti giovanili nati negli anni Settanta, che proprio sulla trasformazione dei linguaggi e della comunicazione avevano operato le più significative innovazioni culturali. Quindi anche all’epoca ci si poneva seriamente il problema di uscire fuori dal circuito chiuso del pubblico dei cinefili per allargarsi a un’area più vasta di potenziali spettatori. Quindi attenzione a sottovalutare l’importanza della comunicazione e tacciarla esclusivamente di essere un’operazione di puro marketing. Far vedere e comunicare sono due facce di una stessa medaglia, che probabilmente, oggi, non ha più neanche SOLO due facce. Perché lo spettatore odierno è una macchina più articolata e non deve solo essere “raggiunto” ma “utilizzato” come corpo mediatico complesso: oggi qualsiasi ragazzino di dieci anni è in grado di fare film con il proprio cellulare e, uno o due anni dopo, di montarselo sul PC di casa con un facile programmino di montaggio. Sono i Festival di cinema attrezzati per questo cambiamento? Crediamo di no. Ma altresì crediamo che la domanda che provenga dalla politica, oggi, non sia proprio questa. Eppure è giunto il momento di farsi le domande giuste, o saremo tutte vittime di un “equivoco culturale”, un gioco perverso al massacro in cui l’unica possibilità di salvezza, come nel film Wargames di John Badham, è non giocare.

Nei prossimi giorni cercheremo di lavorare su queste domande e, magari, di fornire qualche risposta, facendo parlare se possibile i protagonisti di questo dibattito, che ci piacerebbe aprire anche ai nostri lettori..

 

 

 

 

I LINK PER SEGUIRE IL DIBATTITO/SCONTRO SUL TORINO FILM FESTIVAL

 

DA LA STAMPA

 

“Una politica miope, arrogante che vuole soltanto apparire” Intervista a Gianni Rondolino

“E’ uno scontro generazionale per il potere Intervista all’assessore Gianni Oliva  

Moretti: “Il mio festival sarà serio ma allegro”

Moretti un bel segnale per il cinema

Moretti “Rinuncio a Torino”

Rondolino: “Non mi pento è tutta colpa di Barbera”  

Choc in città: Nanni ripensaci

 

DA IL MANIFESTO

 

Nanni salta la scocca   di Roberto Silvestri

Torino film festival, politica o immaginari? di Cristina Piccino

Non scimmiottare i «grandi» festival di Gianni Vattimo

Perché il festival di Torino è passato al Museo del cinema di Fiorenzo Alfieri

Cinema Giovani, la storia fu un’altra di Roberto Silvestri

 

 

DA IL GIORNALE

 

Blitz al Festival di Torino: Moretti direttore    

La guerra a sinistra fatta di celluloide   

Festival di Torino, il Caimano Moretti si ritira  

 

 

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