BlackBerry, di Matt Johnson

Da un’incredibiile storia vera raccontata dal libro di Jacquie McNish e Sean Silcoff, un film ostaggio della sua narrazione che lascia in secondo piano i protagonisti rispetto alla storia. Concorso.

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A volte anche una sola immagine può distruggere tutto; è quella di Steve Jobs che lancia sul mercato l’iphone. All’improvviso il BlackBerry, lo smartphone prima degli smartphone, simbolo del capitalismo statunitense e strumento di lavoro per molti, viene improvvisamente sorpassato. Davanti quell’immagine in tv del creatore della Apple si riflette la distruzione del sogno negli occhi dell’ingegnere elettronico Mike Lazardis che aveva unito le sue forze assieme allo spietato uomo d’affari Jim Balsillie creando un dispositivo portatile rivoluzionario che, tra le altre funzioni, permetteva di gestire le mail. Il BlackBerry sembrava avere la strada spianata. Ma la guerra tra gli smsrtphone e una discutibile gestione manageriale, hanno portato al fallimento di quello che sembrava il dispositivo del futuro…prima di Steve Jobs.

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Dal 1996 al 2008. Ascesa e caduta. Basato sul libro Losing the Signal: The Untold Story Behind the Extraordinary Rise and Spectacular Fall of BlackBerry scritto da Jacquie McNish e Sean Silcoff, miglior libro del 2015 secondo Forbes Magazine e Wall Street Journal, Blackberry crea l’illusione del finto documentario dando l’idea di un archivio segreto nelle immagini girate. Molte inquadrature sembrano quasi clandestine e questo è insieme il fasino e il limite di un film che mescola biopic, commedia e dramma e inserisce quella vena di follia e incoscienza proprio attraverso il personaggio di Doug, la spalla e presenza fedele di Mike interpretata proprio dal regista Matt Johnson. Come nei film precedenti del cineasta canadese, al centro di BlackBerry ci sono figure ai margini in cerca di riscatto. Mike e Doug sono come i due migliori amici che stanno girando una commedia su come vendicarsi dei bulli del liceo in The Dirties o i quattro agenti della CIA infiltrati allaNASA che si fingono una troupe cinematografica in Operazione Avalanche. Per Matt Johnson c’è sempre il cinema nel cinema di mezzo. Fa finta di filmare in diretta quello che sta avvenendo, forse per rendere più realistica e coinvolgente la vicenda. Un prologo estenuante però raffredda questa grande storia e Jay Baruchel sembra costruito sulla falsariga di Russell Crowe in Insider. Può essere visto come una continua soggettiva distorta. Ora attraverso gli occhi di Mike, ora di Jim, ora di Doug. Finisce però per essere un film troppo elaborato, sia a livello stilistico, sia sul lavoro all’interno dell’immagine. La commedia nera, così efficace in The Dirties, procede qui solo per frammenti, come in una delle scene più forti di BlackBerry, con l’immagine di Mike con tutti i modelli dello smartphone sul tavolo o il riuscito finale che però non riscatta un film dove non si avverte né l’estasi del successo né il rumore del fallimento. A restare sfocate sono proprio le persone, quelle che invece hanno trainato sia The Social Network sia Steve Jobs. A Fincher soprattutto ma anche a Boyle, interessa il terremoto nella vita dei protagonisti. Prima, durante e dopo. BlackBerry invece è già in ostaggio della sua narrazione. Quando riesce parzialmente a liberarsene, è già troppo tardi.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
2 (6 voti)
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