Blog (DIGIMON(DI) – Ciao Sandro, ti chiedo scusa…

Federico Chiacchiari, Sandro Zambetti, Giuseppe Gariazzo e Fabrizio Liberti a Ranzanico (BG) nei primi anni 90

"Se c’è una cosa che ho imparato da Sandro Zambetti è questa voglia di fare, di realizzare cose, questa ossessione meravigliosa e folle di sentirsi vivo (quasi) solo mentre si concretizzano i propri progetti."  Un ricordo di Sandro Zambetti, scomparso ieri a 87 anni, di Federico Chiacchiari, dal Blog DIGIMO(DI)

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Chissà perché è sempre a giugno che se ne vanno le persone, di cinema, cui ho voluto tanto bene.

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4 giugno Massimo Troisi, 16 giugno Corso Salani, 6 giugno Sandro Zambetti. Come se giugno fosse il mese dei saluti, delle conclusioni, dell’ultimo viaggio possibile…

Sandro Zambetti se n’è andato ieri e non era certo come Massimo e Corso nel pieno della “vita giovane”. Aveva 87 anni, 11 o 12 figli (tra quelli di sangue e quelli “acquisiti”) e altri “figliocci” sparsi qua e là che da lui avevano imparato tante, tante cose. Del cinema e della vita.

Tra questi, pecorella smarrita che non voleva smarrirsi, c’ero (ci sono) anch’io.

E oggi che siamo tutti google dipendenti, il giorno dopo la sua scomparsa non c’è ancora un giornale o agenzia che abbia pubblicato la notizia, che mi è arrivata dal tweet elegante e rispettoso, come sempre, di Alberto Barbera. E se cerchi su Google non troverai una foto, un’immagine di Sandro, ma, incredibile, troverai (insieme a Cineforum, il Bergamo Film Meeting e quella de figlio Matteo)…Sentieri selvaggi.

Perché Sentieri selvaggi probabilmente non esisterebbe senza la passione, l’ironia, lo sguardo attento al nuovo, la disponibilità e intelligenza e sensibilità di Sandro Zambetti.

Al quale oggi, finalmente, posso chiedere scusa. E ringraziarlo del suo meraviglioso “vaffanculo di rito” che mi scrisse in quel 1997, quando con l’ingenuità e il candore di quegli anni, gli comunicavo che Sentieri selvaggi, che Sandro con amore aveva ospitato e, direi, realizzato con me e Demetrio, per 7 anni, voleva andare per conto suo, vivere una vita propria di rivista libera e indipendente. Come se non lo fossimo già stati liberi dentro Cineforum, una casa famiglia incredibile, in quegli anni, resa possibile solo dalla grande figura paterna di Sandro. Ma noi volevamo di più: uscire in edicola, conquistare il mondo… ma pure restare dentro quella famiglia scombinata e gentile, un piede qui e l’altro là, come facevano già altre figure in giro per le riviste di critica. Ci sembrava normale. Ma lo era in luoghi dove i rapporti non erano familiari, ma solo “professionali”. Scrivi qui, scrivi qua, scrivi dove ti pare. Ma se sei mio “figlio”, sono felice che vai per la tua strada, anche se in concorrenza diretta con la mia.

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Sandro ci aveva permesso di esistere, dopo averci permesso di scrivere, negli anni Ottanta. Io, Demetrio, e poi Giuseppe Gariazzo, Massimo Causo, Marco Martani, Daniela Catelli. Ma non era un’ospitalità passiva, la sua. Al contrario si entusiasmava persino di più per questa strana “nuova creatura” che era Sentieri selvaggi, che per quella Cineforum che diresse dal 1970 al 2009, una vita insomma. Aveva per Sentieri quell’amore “riflesso” che hanno i nonni per i nipoti, quasi un amore doppio, che lo riportava alle passioni di un tempo, agli amori che sconfinavano piacevolmente fuori dal cinema. E se Cineforum era il suo fortino, certo disponibile ai cambiamenti ma dentro un rigore di fondo, Sentieri selvaggi era il territorio dove poteva sbizzarrirsi, giocare con le passioni giovanili, il fumetto, l’illustrazione, i generi “bassi” della letteratura e del cinema. E con Demetrio passavamo insieme a lui dei magnifici weekend a casa sua, a sfogliare vecchi giornali, a immergersi nei fumetti e nei tanti comics che collezionava, per riempire la “nostra rivista” di immagini “cinematografiche che non fossero di cinema”, in un doppiogioco dell’immaginario cinematografico che ci divertiva ed eccitava come fossimo dei bambini.

Poi nel 97, la nostra scelta: fare una rivista indipendente. Ma non in concorrenza con Cineforum, figuriamoci! Semmai con Ciak! Poi andò come doveva andare, e fu la fine della giovinezza, e la linea d’ombra si abbatté su tutti noi, complici matrimoni, figli, fallimenti, chiusure e tradimenti.

Federico Chiacchiari con Sandro Zambetti, Giuseppe Gariazzo e Fabrizio Liberti a Ranzanico nei primi anni 90

Federico Chiacchiari con Sandro Zambetti, Giuseppe Gariazzo e Fabrizio Liberti a Ranzanico nei primi anni 90

Con Sandro avevo un rapporto affettuoso e “filiale” cha andava oltre la collaborazione lavorativa, ricordo una bella estate ospiti da lui nella casa in montagna (con Giuseppe Gariazzo e Fabrizio Liberti), come ricordo di averlo ospitato a casa mia ogni volta che veniva alle riunioni nazionali del Sindacato Critici, perche non voleva pesare sui costi del Sindacato (che uomo d’altri tempi!), e la mia gatta Due Calzini che era sempre schiva con tutti che invece gli si avvicinava sempre mentre lui si scherniva (e ne aveva di animali, in campagna).  Sandro mi prese con lui dopo avermi incontrato al Premio Adelio Ferrero, dove il mio saggio divise la giuria e non vinse alcun premio, ma poi venne pubblicato su Cineforum. Da lì iniziai una bella collaborazione, ma anche una bella amicizia, perché con Sandro certo si parlava di cinema, di come fare meglio la rivista (il formato, il colore! Quante vittorie che ottenni con la mia testardaggine), ma in realtà si parlava soprattutto di altro, di politica, di cultura, di VITA. Non era un cinefilo, pur avendo una grande conoscenza del cinema tutto, ma aveva una straordinaria capacità di osservazione sul mondo, unita a un’ironia beffarda, che mascherava dietro al suo sigaro, perennemente acceso sulla sua scrivania, che rendeva impossbile per chiunque lavorare a lungo nella sua stanza, dove infatti era quasi sempre in volontaria e ricercata solitudine.

Io a Roma, la “redazione romana” che teneva i contatti con “il cinema” (uffici stampa e produzioni) la rivista a Bergamo, dove ogni tanto andavo e rimanevo stupito da come la maggior parte dei miei colleghi passassero tanto tempo a “non lavorare”, in un clima troppo buono e familiare, mentre Sandro era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via e non si fermava mai. E io, in qualche modo, ero come lui. Non mi piaceva fermarmi, perdere tempo. C’erano sempre tante cose da fare, e se finivi prima ne potevi inventare delle altre. Altri progetti, altre storie possibili.

Ecco, se c’è una cosa che ho imparato da Sandro Zambetti è questa voglia di fare, di realizzare cose, questa ossessione meravigliosa e folle di sentirsi vivo (quasi) solo mentre si concretizzano i propri progetti.

Solo ora, che Sandro se n’è andato, posso capire quanto dolore posso avergli dato, portando fuori Sentieri selvaggi dalla famiglia Cineforum (non che io lo volessi, per me all’epoca era naturale convivere amorevolmente..). Avergli tolto la possibilità di giocare con i nipotini di Sentieri selvaggi è stata una piccola grande violenza di cui non mi sono affatto reso conto e che solo ora vedo, con gli occhi appannati dalle lacrime, per aver perso, dopo il mio amato padre naturale, anche il suo coetaneo “padre culturale”. Ecco, lo dico: non avrei dovuto togliergli quel piacere, quel divertimento, quella rinnovata passione che Sentieri selvaggi – e le pungolature che noi giovani selvaggi davamo alla rivista in quegli anni – gli forniva. Io invece me la presi, cercai in tutti i modi di fargli capire che non era una fuga, e lui mi scrisse un’ultima lunghissima lettera, che ancora conservo, che sembra quasi prefigurare una sorta di consapevolezza di morte, che viveva all’epoca (aveva 70 anni), non tanto come evento fisico quanto piuttosto intellettuale ed esistenziale.

Scriveva: “Continua a girarmi in testa, cioè, quel che sta scritto, ad un certo punto, nel divertente “L’ultimo viaggio di Dio”: che il più bel regalo, il più bell’atto d’amore che possa venire da Dio agli uomini è quello di morire, unico modo per consentire loro, in quanto suoi figli, di diventare adulti. A parte la presuntuosa (?) auto identificazione con Dio, il rovello che me ne viene è tutto lì, e non vedo proprio come togliermelo dalle palle. Domandine a raffica: servo solo a qualcosa o sono solo d’ingombro, ormai? Di quanti problemi non si fa interamente carico, la gente che lavora con me, per “riguardo” nei miei confronti o perche fa comodo – magari inconsciamente – avere alle spalle quello che comunque, alla fin fine, resta il “responsabile” ultimo dell’andamento della baracca? i miei tanti “figli” non maturano del tutto perché è nella loro natura- e, soprattutto, nelle caratteristiche della loro generazione. O perché ci sono di mezzo io, a tarpargli perennemente le ali? (…) sono io a cercarmi degli alibi o sono i miei figli?…Tutte domandine, come vedi, abbastanza fastidiose e probabilmente destinate a restare senza risposta, fino al giorno in cui tirerò le cuoia. Ergo, vaffanculo.

Di Sandro Zambetti critico, giornalista e instancabile animatore culturale spero che, prima o poi, ne parlerà qualcuno. Perché fa parte di quegli uomini, misconosciuti, che hanno contribuito a rendere migliore il mondo in cui viviamo, il nostro mondo. Per quel che mi riguarda, mi tengo strette le sue sei pagine scritte a mano, e mi dispiace di averlo ferito e privato di qualcosa cui teneva negli ultimi quindici anni della sua vita. Quello che poi è accaduto a Cineforum nel 2009 lo lascio raccontare ad altri… Sandro aveva da tempo capito che i figli, che tanto e tanti ne aveva voluti, a tenerseli troppo vicini, si finisce per perderli…

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