Blog DIGIMON(DI) – Rivoluzioni? Atoms Are the New Bits

Un ragazzo in bicicletta, con in mano un iPad, si ritrova la strada interrotta – e quindi deve attraversarla con bici e tablet nelle mani – da una manifestazione sindacale, con all’ordine del giorno la difesa dell’articolo 18 e dei diritti dei lavoratori. Il ragazzo osserva con aria spaesata questo lungo corteo, pieno di bandiere rosse e di slogan contro il “governo dei banchieri”.

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Chissà da dove veniva, questo giovane tecno/ecologico, forse dallo stesso posto dal quale venivo io quella mattina, dove un migliaio di persone si erano riunite (e tanti l’hanno seguito  in streaming in rete) per il convegno dei “Makers”, ovvero i cosiddetti “artigiani del XXI secolo”, i rivoluzionari digitali.

In un’immagine, un flash: due mondi, in un momento di passaggio epocale, dove i vecchi conflitti coesistono con i nuovi scenari post-post-industriali. Da una parte quella orgogliosa difesa dei diritti dei lavoratori conquistati con le battaglie degli anni ’60 e ’70 – quelli che oggi anche i politici cosiddetti di sinistra non hanno più il coraggio di difendere, fosse anche come valore simbolico di una “non resa” – dall’altra una generazione di utopisti/visionari che, attraverso le possibilità del digitale, sta immaginando e forse cominciando a realizzare un “altro mondo” possibile, dove il lavoro artigianale, che ormai sembrava destinato all’estinzione, trova una sua rinnovata forza, possibilità, necessità.

Siamo proprio in questa Terra di Mezzo oggi, in questo 2012 così ambiguo, dove sembra che questi mondi ancora non comunichino, non si sfiorino, non si conoscano. Chi lo va a raccontare all’operaio che cerca di mantenere il proprio posto di lavoro che oggi possiamo produrre degli oggetti come se fossimo delle piccole “industrie/individuo”, con una Stampante 3D, e che nei prossimi decenni la fabbrica come l’abbiamo conosciuta nel XIX e XX secolo – con tutte le sue derivazioni di conflitti e relazioni di classe – probabilmente non esisterà più?  Non siamo più alla rivoluzione industriale che sostituiva sempre più l’elemento umano con la macchina o alla fase della globalizzazione che decentrava il lavoro nelle aree a basso costo di manodopera del  terzo mondo.

Quello di cui sì è parlato in questo World Wide Rome è invece l’approssimarsi della “scomparsa della fabbrica tradizionale” e di un modo di lavorare e produrre dove ci sta un Vertice e tanti altri esseri che seguono le sue direttive. Si profila invece la rivoluzione della “cultura partecipativa”,  dove le comunità “open source”, come ha detto Alberto Cottica, “sono una fonte di sapere tecnologico, sono tanti torrenti di innovazione”.  E si passerà da un mondo in cui le aziende si chiamano “General Motors” a un altro dove l’elemento “Local” sarà preponderante.

Ma attenzione, lo stesso Cottica avverte che “La rivoluzione (dei makers) non è un pranzo di gala. E non lo sarà neanche questa volta.” E le grandi aziende faranno tanta resistenza alla perdita del “potere esclusivo di produrre”.  Ed ecco allora che è la musica a raccontarci questo “passaggio epocale”, con il violinoche ha conquistato la copertina di The Economist, prodotto da una stampante 3D come un foglio, e suonato da Sebastiano Frattini.

Dal web alle cose, insomma (pensate che è già dal 2008 che gli “oggetti collegati” tra di loro hanno superato come numero la popolazione mondiale…). Dalla rete dove possiamo condividere idee, informazioni e, perché no, sentimenti ed emozioni, alla realizzazione concreta di oggetti, progettati da singoli “makers” e realizzati dovunque da stampanti 3D dai costi sempre più contenuti, che chiunque può acquistare.

E allora se “tutti possono costruirsi tutto” l’elemento che distinguerà un progetto dall’altro, un prodotto dall’altro sarà sempre più il design. “Se fai design in questo secolo– ha detto Massimo Banzi, semi-sconosciuto in Italia ma famoso in tutto il mondo per essere uno degli inventori di Arduino, un piccolo computer grande quanto una Carta di Credito creato nel 2004 e che costa meno di 30 euro che oggi utilizzano Mit, Apple, Panasonic e Google – devi trasformare il web in cose”.

E, come ha detto Chris Anderson, celebre direttore di Wired e autore di quel volume già cult “La coda lunga”, e anche lui “maker” (costruisce dei droni a basso costo fatturando milioni di dollari), “non c’è nessuna nazione al mondo dove la parola design abbia un significato così forte come qui. E’ questo il momento giusto per l’Italia per diventare portabandiera del design democratico”.

Il passaggio, sia per lo sviluppo economico ma anche per quello, direi, concettuale e antropologico, è già in atto: nel giro di pochi decenni la rivoluzione digitale ha trasformato radicalmente il nostro modo di comunicare (e produrre comunicazione), e uno alla volta, per dirla usando le espressioni care ad Anderson, gli atomi si sono trasformati in bit (la musica, i film, i libri, la posta, ecc….); oggi si è pronti alla rivoluzione 3.0, dove i bit diventano atomi, dove dal digitale si ricrea la materia. “Atoms are the New Bits”.

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