Blog MONTAGGI – Ejzenstejn, il Messico (e dell’immagine turistica).

Penisola dello Yucatan, Messico, oggi. Pietre antiche, resti di una antica civiltà.

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Uno dei siti archeologici e turistici più famosi del Messico, le rovine Maya di Chichen Itza. Ma Chichen Itza è anche un luogo profondamente cinematografico: è qui che, nel 1930 Ejzenstejn filma i monumenti e le statue del prologo del suo film incompiuto, Que viva Mexico. In quelle immagini famose, i volti delle statue si riflettono nei volti dei messicani che il regista sovietico filma incessantemente. Il tempo si contrae, la pietra, la piramide, il tempio condensano diverse temporalità nell’immagine. L’inquadratura mostra un volto contemporaneo e la pietra all’interno della stessa immagine.

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Il volto e la pietra, la donna e il monumento appartengono a tempi diversi e allo stesso tempo. miracolo del montaggio.
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“Non siamo più in grado di fare un’inquadratura come Ejzenstejn“, aveva detto Godard tanti anni fa. Nel suo Eisenstein in Messico, Greenaway non mostra mai Eisenstein mentre filma, concentrato su tutto ciò che in fondo appartiene al prima o al dopo del suo cinema. Greenaway non si interessa ai fondamenti dell’immagine ejzenstejniana, Godard non smette di coglierne la lontananza. Ancora oggi la frase di Godard colpisce per la sua verità, ma cosa significa in fondo? altre inquadrature sono state possibili (e il cinema ha continuato la sua strada), ma tornare oggi a Chichen Itza significa fare i conti con un altro tempo, un “terzo tempo”, quello dell’immagine turistica.
Quelle rovine sono infatti oggi il luogo da cui nascono milioni di immagini, impronte digitali prese con i più disparati dispositivi (perlopiù macchine fotografiche, tablet e smartphone). Flussi di turisti attraversano quegli spazi per trarne quindi delle immagini. Ma il tempo di quelle immagini è appunto “terzo”, non è né umano né eterno, si consuma nell’atto stesso del suo apparire. La foto come traccia, firma impossibile del presente.
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L’ossessione del presente agita quelle immagini. Eppure qualcosa si aggiunge alla loro instantaneità. Qualcosa che ha a che fare con lo stato stesso dell’immagine, con la sua estemporaneità.
Non è un caso che in Pinocchio, il suo film “non-finito” (come è “non-finito” Que viva Mexico di Ejzenstejn), un regista come Michelangelo Frammartino abbia voluto rappresentare il paese dei balocchi come un gigantesco villaggio turistico, dove appunto è il presente dell’immagine a dominare. E ancora, non stupisce che lo stesso Godard, in Film Socialisme abbia mostrato la contemporaneità nell’immagine condensata di una nave crociera, quella Costa Concordia destinata poi, poco tempo dopo a naufragare sulle coste toscane.
Godard e Frammartino colgono in realtà la trasformazione dell’immagine in presente evanescente. L’immagine turistica diventa allora una potente rappresentazione della contemporaneità, del suo fallimento come immagine-montaggio, come presenza di più tempo nello stesso tempo (era il sogno del Novecento in fondo, il sogno del cinema).
Forse, dopo l’immagine come sintesi di tempi diversi che Ejzenstejn scopre in Messico, e l’immagine turistica che Chichen Itza ora rappresenta, le rovine Maya danno luogo ad un’altra possibilità. Ancora una volta un film non finito, Viaggio a Tulum di Federico Fellini. Film che racconta un viaggio come esperienza onirica, Viaggio a Tulum (Tulum è il nome dell’altro grande sito archeologico messicano) condensa i tanti luoghi mai filmati da Fellini in un montaggio di immagini impossibili, di viaggi nelle profondità sottomarine, o in luoghi mai conosciuti. Il film di fatto esiste solo come graphic novel disegnata da Milo Manara; ed è tra le sue pagine, nella pura immaginazione di un film mai realizzato, che la piramide di Chichen Itza, e le immagini-piramide del cinema di Fellini trovano spazio, appunto come sogno, visione, desiderio. Si tratta allora dell’altra, potente forza del cinema, quella capace di scoprire un altro tempo ancora, il tempo disteso e senza limiti dell’immaginazione.
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