Blog NET NEUTRALITY – I fantasmi ci precedono

Ma il mondo cos’è ormai? Un effetto estetico basato su una cattiva messa a fuoco, in cui il concetto mondo diventa molto meno significativo di quanto lo fosse in passato, non più così significativo

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(questo articolo è stato pubblicato sul n.0 di Sentieriselvaggi21st)

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In questi giorni esce in edicola un numero speciale di DylanDog, una storia scritta da Dario Argento: Profondo Nero. Storia scritta per il personaggio creato da Tiziano Sclavi, thriller dalle sfumature horror, sceneggiato da Stefano Piani. Ecco, non poteva partire diversamente questo nuovo spazio espressivo, con il fautore a fumetti del “quinto senso e mezzo” e l’autore per eccellenza capace di regalargli la parte che resta per raggiungere definitivamente il “sesto senso”. Dario Argento, all’esordio cartonato, è proprio l’uomo giusto per intraprendere la strada della multisensorialità, quale traghettatore dell’inconscio, quale imbarazzante estraneo intimo, spia del corpo, complice di pulsioni. Bene, oggi non è più la coscienza a dirigere le nostre azioni, sono le immagini, le metafore a corrispondere d’incanto alle cose. La verità è diventata un mobile esercito di immagini, pronto a scatenarsi e invadere il nostro mondo. Ma il mondo cos’è ormai? Un effetto estetico basato su una cattiva messa a fuoco, sfocatura derivante dalla nostra ignoranza, in cui il concetto mondo diventa molto meno significativo di quanto lo fosse in passato, non più così significativo per la nostra coscienza. Ecco, invece di alimentare costantemente un’illusione, il mondo delle immagini è sempre più alla ricerca del non-umano, ciò che si insinua negli interstizi tra figura-sfondo, nella viscosità dell’esistenza. Ma il sesto senso non potrebbe essere tentato dal nonsense? Quello proprio di GrouchoMarx, aiutante inseparabile, costretto stavolta a visitare la fiera del sadomaso: “Conoscevo un masochista che ogni mattina appena sveglio amava bere una bella tazza di latte… per questo si faceva un caffè”. Dario e Groucho ballano eternamente nei sotterranei movimenti dell’inconscio, un eterno balletto tra pericolo e salvezza, tra sogno e realtà. L’occhio e lo sguardo sono stati sopravvalutati e sottovalutati, idolatrati e demonizzati. L’offerta più promettente della cultura visuale è cedere il passo al sesto senso che vuole andare oltre queste guerre scopiche, verso uno spazio critico più produttivo, in cui prospera l’intreccio e l’annidamento del visivo con e negli altri sensi. Nel sesto senso si troverebbe qualcosa di più interessante da fare con l’aggressività dell’occhio piuttosto che estirparla. È proprio perché non esistono media visivi che abbiamo bisogno di un concetto di cultura visuale. Per l’avenir, come direbbe Jacques Derrida, ignoto e inconoscibile futuro. Non è un futuro che possiamo predire o organizzare, ma un futuro ignoto: un futuro genuinamente futuro. Il senso senso vorrebbe rivolgersi ancor di più all’arrivant di Derrida, l’arrivo assolutamente non-atteso e non attendibile di qualcosa; si ritorna al cosiddetto “straniero estraneo” di Timothy Morton, lo straniero la cui estraneità sarà per sempre strana, indomabile e non razionalizzabile. Paradossalmente è anche uno straniero che ci risulta familiare: la sua perturbante familiarità è anzi uno dei suoi tratti caratteristici. La persona accanto a cui ti svegli ogni mattina è la persona più estranea che ci sia. Il futuro futuro e lo straniero estraneo sono la figura e lo sfondo, la cattiva messa a fuoco dell’arrivant. Proprio perché siamo in grado di vedere così lontano nel futuro e così lontano dalla terra, siamo sopraffatti da una strana cecità: ed è una cecità molto più misteriosa della semplice perdita della vista, dal momento che possiamo vedere anche molte più cose di prima. Questa cecità è il sintomo di un’intimità preesistente con tutte le forme di vita, con tutti i sensi concessi, la cui conoscenza ci è ora demandata. È nella viscosità dell’esistenza che si insinua la paura, paura intimamente legata all’idea di sfocamento, sdoppiamento della realtà. Ciò che ci angoscia, molto più che la prossima morte, è soprattutto la nostra non-realtà, la nostra non-esistenza. Il reale non è dalla parte dell’io, ma dalla parte del fantasma, non è l’altro che mi sdoppia, sono io il doppio dell’altro. E l’errore peggiore, per chi è ossessionato da colui che prende per il suo doppio, ma che è in realtà l’originale da lui stesso replicato, sarebbe cercare di sopraffare il suo “doppio”. Allora Operazione paura non è più soltanto un’azione a coesistere, ma il più grande esempio cinematografico che riscopre il sesto senso. Un’opera di artigianato, capace di risvegliare tutti i sensi e di farci partire per un lungo viaggio immaginifico. Dario Argento e Mario Bava, non a caso, sono i tedofori della fiamma nell’al di là. Un uomo entra in una stanza, l’attraversa correndo ed esce all’altra estremità di quella; un raccordo lo mostra allora mentre penetra nella stessa stanza che ha appena attraversato, e ciò accade diverse volte di seguito: è sempre allo stesso posto o sta infilando diverse stanze perfettamente identiche? A un certo punto si trova davanti un altro uomo, che finisce per raggiungere; non appena posa la mano sulla sua spalla, l’uomo si volta e rivela essere identico all’altro. Antonin Artaud scrive: “Finché mi sentirò seguito da un doppio o da uno spettro avrò la prova che io sono”.

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