Blog NET NEUTRALITY – Luigi Mangione, tra nobili menzogne e ignobili verità

La storia di Luigi Mangione è un autoritratto di “noi”, le nostre preoccupazioni, le nostre ossessioni, le nostre rimostranze, le nostre lotte di potere, forse ancora più che un ritratto di “lui”

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Il mondo umano è fatto di storie, non di persone. Le persone usate dalle storie per raccontarsi non vanno biasimate. Chi è Luigi (Luke) Mangione, il giovane assassino italo-americano fanatico di UnaBomber? Il 9 dicembre in un McDonald’s di Altoona, Pennsylvania, la polizia ha arrestato il 26enne, appartenente alla classe medio-alta, nipote di un grande immobiliarista di Baltimora, sospettato di aver ucciso, a New York, l’amministratore delegato di United HealthCare, Brian Thompson. Perché non si sarebbe liberato della pistola e del silenziatore utilizzati per il suo crimine, prima che venisse catturato? Quattro documenti falsi, con nomi diversi, e un manifesto politico anticapitalista ritrovato nelle perquisizioni con su scritto: “Mi scuso per i traumi creati ma andava fatto, bisognava eliminare questo parassita…”. Killer non d professione, dal curriculum di tutto rispetto come studente prima e ingegnere dopo. La tecnologia è il suo mondo, la stessa tecnologia che lo ha portato a costruirsi un’arma con una stampante 3D. Ha venduto auto online e probabilmente aspettava di essere preso, considerando la scarsa propensione alla fuga e all’occultamento delle prove, subito dopo l’accaduto. Si è presentato al pubblico come persona ostile alle iniquità del sistema capitalistico ed in particolare verso quelle presenti nel mondo della sanità privata, per una sorta di vendetta personale. Alcuni suoi parenti non hanno potuto curarsi nella misura necessaria. Proveniente da una condizione economica agiatissima, il patrimonio familiare è straripante, fatto di case di riposo, country club, stazioni radio. Da giovane ha frequentato una scuola da 40 mila dollari di retta annuale e ha sempre primeggiato per profitto. Tutto cambia sei mesi fa. Luigi sparisce dai social, abbandona la famiglia e gli amici, fa perdere totalmente le sue tracce. Si avvicina alla filosofia terrorista anarchica di UnaBomber, elogiandolo sul sito Goodreads.

Quello slittamento di vertebre e la schiena ballerina lo tormentano sin da bambino e forse anche questa condizione fisica precaria ha contribuito a trasformare uno studente modello a giustiziere. Nonostante tutto, ha praticato arrampicata e windsurf ma per una caduta la sua patologia si è aggravata ulteriormente, arrivando all’intervento chirurgico nel 2023. Da quel momento in poi, anche persone a lui più vicine trovano il suo umore e il suo carattere radicalmente cambiati e lo descrivano incupito, sofferente, sempre meno disponibile alla vita sociale. Poi restano i misteri dell’arma non trovata, dello zaino rinvenuto pieno di banconote del Monopoli, della conoscenza dettagliata di tutti gli spostamenti della vittima. Su quella pallottola erano incise tre parole: “Deny, Defend, Depose” (Nega, Difendi, Deponi). La massima in pochi giorni ha travolto l’opinione pubblica, facendo nascere l’ideologia della vendetta. Luigi Mangione è diventato il “regolatore” (The Adjuster). Gli hashtag collegati all’assassinio imperversano ormai da giorni senza sosta, soprattutto fatti di denunce verso le compagnie assicurative che conoscono solo il profitto, a fronte di tragedie umane. Luigi Mangione è diventato un eroe da difendere che non andava consegnato alla polizia, è diventato un criminale gentile di cui innamorarsi. I tatuaggi fioriscono con il suo motto in caratteri gotici, Amazon ha pubblicato il libro “Robin Hoodie”, raccolta di poesie liriche ispirate all’eroe di Baltimora e del popolo. “Deny, Defend, Depose”, lo ritrovi anche su magliette, tazzine, spille, adesivi. L’effetto domino ha coinvolto altri simboli americani, come il McDonald’s, teatro dell’arresto, pretesto giusto per lasciare riemergere feroci campagne denigratorie, del tipo: “Questo posto ha topi in cucina che ti faranno stare male e la tua assicurazione non coprirà le spese…”. Senza contare pure coloro che hanno accusato i dipendenti del McDonald’s, rei di aver fatto la spia per la cattura del killer.

Cosa resterà di questa ondata? Sarà tutto dimenticato in fretta? Il matematico e terrorista Ted Kaczynski, UnaBomber, che negli anni Novanta aveva terrorizzato gli Stati Uniti, ritornerà prepotentemente nei pensieri e nelle azioni? D’altronde, “quando tutte le altre forme di comunicazione falliscono, la violenza è necessaria per sopravvivere”, aveva scritto Mangione. Qui non si tratta di terrorismo, ma di guerra e rivoluzione. Il manifesto di UnaBomber potrebbe valicare le nicchie estremiste e incontrare oggi fette di popolazione sempre più ampie, seguendo l’ultimo dei suoi messaggeri, Luigi Mangione. Anche se proveniente da una delle famiglie più facoltose del Maryland, il “vendicatore” ha dalla sua parte una cospicua porzione dell’opinione pubblica, vittima delle compagnie assicurative che operano in un sistema sanitario profondamente corrotto e iniquo. È a tutti gli effetti, la celebrazione di un omicidio e per la legge la glorificazione di un assassino. Quelle tre parole, in fondo, sono uno slogan tratto da un libro-inchiesta che denuncia la strategia politica utilizzata per evitare il risarcimento dei clienti. Sono tre parole che Luigi Mangione avrebbe idealmente utilizzato per concludere una narrazione macabra, durante la sua fuga in bicicletta con in spalla lo zaino carico di soldi per la vendita “monopolistica” di Parco della Vittoria, attraversando Central Park. L’apologia è servita. Jingle natalizi si confondo con composizioni dedicate al killer e a New York, luogo del delitto, si stanno tenendo concorsi per sosia. Avrebbe sparato un uomo alla schiena, un uomo padre di due figli e comunque il merchandising con il suo profilo va a gonfie vele. L’azienda di Brian Thompson, tra le più potenti al mondo, ha il tasso di rifiuti nei rimborsi più alto tra le compagnie assicurative. C’è un algoritmo che valuta le richieste di rimborso che secondo le miriadi di citazioni a giudizio ha un tasso di errore del 90%. La spesa sanitaria per residente negli Stati Uniti è di 12 mila dollari l’anno, almeno il 50% in più di qualsiasi altro paese ricco, eppure si classifica al 60° posto nel mondo per aspettativa di vita.

La ribellione nichilista del singolo, del Joker di turno, accende l’immaginario collettivo. L’eroe-martire Luigi Mangione si nutre dei nuovi media, perché sempre più non siamo noi a possedere una narrazione, è la narrazione a possedere noi. Ci si riferisce alla tendenza umana ad aggrapparsi a una storia spesso senza alcuna buona ragione, di aderirvi tenacemente, di lasciare che strutturi la propria visione del mondo e permetterle di proiettare sul mondo dei modelli che in realtà non esistono. Questo effetto, potenziato da radicali cambiamenti tecnologici e culturali, contribuisce a spiegare perché ora troviamo difficile convergere su narrazioni consensuali sulla forma fondamentale della realtà. Luigi Mangione si aggiunge ai “Social Killer” raccontati nel libro di Mark Ames. Svegliarsi un bel mattino, caricare l’AK7 e andare al lavoro e ammazzare tutti quanti. Questo è quello che accadeva nell’America della “Reaganomics”, quando alcuni impiegati postali all’improvviso si trasformavano in sanguinari assassini. Follia individuale? Violenza diffusa? Armi facili? Emulazione di cattivi modelli? Tra le ragioni ne manca una: il lavoro stesso. È la solitudine dei lavoratori non più difesi dal sindacato, sottoposti alla crudeltà della nuova politica aziendale. È il ritorno alla schiavitù e la violenza non può essere più gratuita, opera di pazzi isolati. Salvare i fenomeni, salvare le cose del mondo dalla possibile rapina del nulla perché l’uomo diventa sempre meno soggetto di vita e sempre più funzionale di apparati. Adesso Luigi Mangione rischia la pena capitale; bisogna punire in maniera esemplare chi avrebbe osato sfidare il sistema. Ma il cuore di tutta questa storia è da cercare altrove. È da cercare evidentemente nella narrazione storica, in quanto imposizione dell’immaginazione del presente sul cadavere inerme del passato. La storia di Luigi Mangione è dunque un autoritratto di “noi”, le nostre preoccupazioni, le nostre ossessioni, le nostre rimostranze, le nostre lotte di potere, forse ancora più che un ritratto di “lui”.

Cosa conta di più in una storia, se è vera o se fa del bene? Appunto, Luigi Mangione, con tutta la sua agiatezza sociale e immaginifica, ci ricorda che ogni grande nazione si fonda su nobili menzogne. Nobili menzogne, le stesse che ammantano la dottrina dell’eccezionalismo americano, per cui i pionieri e gli idealisti dallo sguardo fiero avrebbero portato la fiamma dell’Illuminismo e della libertà in un mondo ottenebrato. Insomma, è servita la politica del potere travestita da Storia. Luigi Mangione però non rappresenta soltanto la controstoria degli incatenati, dei depredati e di tutti gli inquieti fantasmi degli assassinati. Non incarna l’ignobile verità dell’America come civiltà mostruosa, praticamente dietro ogni cosa orrenda che accade nel mondo, lasciando impronte di grasso di cheeseburger ovunque, le stesse impronte che egli stesso ha lasciato nel pasto precedente la cattura. Luigi Mangione, dal bell’aspetto e con un crimine da scontare, è l’uomo bianco passato dal portare il fardello del mondo a essere il fardello del mondo. L’uomo bianco è passato da eroe a malvagio, facendosi caricatura di un nuovo eccezionalismo americano, in cui l’America è eccezionale soltanto perché primeggia nell’auto-illusione, nell’oppressione e nella distruzione alimentata dall’avidità. Siamo ancora però fuori strada. Luigi Mangione non è una nobile bugia né un’ignobile verità. Perché se la prima potrebbe essere l’arringa difensiva, la seconda sarebbe la requisitoria dell’accusa. Entrambe distorsioni della Storia. Magari fra qualche settimana, fra qualche mese, Luigi Mangione potrebbe finire nel dimenticatoio, o meglio, in quella spirale in cui nessuna storia sarebbe mai accaduta veramente. In “Un giorno di ordinaria follia” di “Prova a prendermi” si troverebbero fertili alleati immaginari, perché la vita accade. Le situazioni di merda accadono mentre la gente cerca di tirare avanti. Ma nessuna storia accade realmente nel presente: una storia è sempre una costruzione artificiale fabbricata a posteriori con una dubbia corrispondenza con il passato. Luigi Mangione si fa mito perché potrebbe davvero non essere del tutto reale.

Alla prima udienza si presenta in camicia bianca e maglioncino dichiarandosi non colpevole delle accuse di omicidio e terrorismo presentate dallo Stato di New York. L’avvocato difensore ha affermato che il suo assistito non può essere trattato come una pallina da ping pong, ma le impronte sull’arma da fuoco però non lascerebbero scampo. Il grande scrittore Kurt Vonnegut sosteneva che le storie hanno sempre un “uomo in buca”. Ma per certi versi quasi tutte le storie parlano di persone che cadono in buchi di un tipo o dell’altro e devono lottare per conquistarsi una via d’uscita. Ma se c’è qualcosa di cui le storie principalmente parlano, oggi ancora di più, inglobate nell’indefinito mondo virtuale, non è più la violenza, non è il sesso, la sopravvivenza, il potere o l’amore: è l’estrazione dell’utile, a discapito della giustizia. Luigi Mangione, dichiarandosi non colpevole, riemerge dalla buca e si fa personaggio della trasformazione, per ricucire i fili della comunità. Alimenta il bisogno di eroi, di mine vaganti che non siano necessariamente “movimenti”, risvegli violenti, probabilmente attimi, da quello spazio mentale, emotivo e immaginativo creato dalle storie che consumiamo, dove una pallottola per la “giustizia” sparata da un giovane bianco e benestante si fa big bang della polarizzazione e dell’instabilità sociale. Far saltare i ponti piuttosto che costruirli è oggi nel mondo della post-verità la pratica diffusa e quell’eroe senza maschera non ci rende più simili ma versioni più estreme di noi stessi. Trasforma “me” più me e “te” più te, trasforma anche “noi” in versioni più estreme di noi e “loro” in versioni più estreme di loro.

Ma il mondo della post-verità non è un mondo in cui la maggior parte delle persone smette di credere che la verità esista, dove tutti diventano dei relativisti postmoderni. Al contrario, è un mondo nel quale, indipendentemente da quale sia la storia assurda in cui si crede, quella storia la si può supportare con infinite informazioni che assomigliano a prove reali. Il mondo della post-verità è un mondo in cui l’evidenza fattuale è spogliata di potere. Luigi Mangione, macchiatosi della colpa più grave, ti lascia entrare in un paese dei sogni dove la verità viene decisa in base a quella che è la storia più forte e non in base a ciò che è confermato dalle prove. È una prospettiva spaventosa , è la fiamma dell’Illuminismo razionale che comincia a diventare sempre più fioca e l’assaggio di un nuovo oscurantismo che porta con sé un rinnovato fervore per i nostri pregiudizi, le nostre superstizioni e la nostra inclinazione alla violenza della tribù globale. “I mostri si comportano sempre come mostri, ma per far sì che le brave persone si comportino in modo mostruoso, si deve prima raccontare una storia: una grande menzogna, un’oscura cospirazione, una mitologia politica o religiosa che ricomprenda in sé ogni aspetto dell’esistenza” (On Moral Fiction, di John Gardner).

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