Blog OM – Smokestack Lightning. Il blues di Ryan Coogler

Da Charley Patton a Buddy Guy, da Adonis Creed a T’Challa, il dilemma multidimensionale è come mantenere l’autenticità di fronte alle tentazioni del denaro, il vero vampiro che divide la comunità

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OPEN DAY FILMMAKING & POSTPRODUZIONE: 23 maggio

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SPECIALIZZAZIONI: la Biennale Professionale della Scuola Sentieri selvaggi

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Mi tocca riesumare questo blog perché, se leggo ancora una volta di I peccatori paragonato a Dal tramonto all’alba, potrei reagire mettendo mano al grilletto come il personaggio di Michael B. Jordan quando il bianco del KKK nel finale lo implora “ho del denaro!”. Sono contento che a tanta critica italiana (compresa l’appassionata recensione del nostro Eugenio Grenna, che coglie alcune delle reference che lo stesso regista ha poi esplicitato qui) stia piacendo il film di Ryan Coogler, ma permettetemi per una volta di assumere il tono del vecchio armonicista Delroy Lindo quando gli viene presentato il giovane Preacherboy – sei davvero sicuro di sapere cosa sia il blues? di sentirlo tuo? (Consiglio numero 1: fare una ricerca incrociata Delroy Lindo + Spike Lee. Andiamo avanti). Nel 1949, il ventenne B.B. King (che fu fraterno amico di Buddy Guy, la leggenda del blues che interpreta Preacherboy “da adulto” nel film di Coogler) rischiò la vita per rientrare in un locale che aveva preso fuoco, in Arkansas, per recuperare la chitarra con cui si stava esibendo nel momento in cui l’incendio era divampato. Diciamo che è di questo che stiamo parlando, innanzitutto (ecco perché Preacherboy non vuole proprio mollarlo, quel manico spezzato e insanguinato di chitarra che tiene stretto davanti all’altare).

Per capire Sinners bisogna partire dall’importanza di Black Panther, il cinecomic che Ryan Coogler nel 2018 gira come fosse una versione blockbuster di When we were kings, con il match per il trono T’Challa vs Killmonger come remake di Alì vs Foreman per il titolo dei pesi massimi a Kinshasa. Una volta Shabaka Hutchings mi disse che le domande fondamentali per gli artisti afrodiscendenti fossero “Come infiltrarsi nella struttura capitalistica in modo da poter esprimere la nostra arte in maniera più potente? Come possiamo far funzionare il capitalismo per noi? L’industria deve prendersi cura di noi”.
Black Panther ha avuto per Black Lives Matter la stessa funzione che Barbie di Greta Gerwig avrà per la cosiddetta woke culture, e Easy Rider ebbe per la filosofia hippie: “Wakanda è di per sé uno stato immaginario, un posto che è nei cuori, nella mente e nello spirito dei neri da quando sono stati trascinati in America in catene”, ha spiegato Ava DuVernay. Quando Chadwick Boseman è morto, la reazione della comunità black è stata molto più vicina alla dipartita di un leader politico che di un “semplice” attore (tra le altre cose, Coogler dimostra qui di tenere davvero anche all’esperimento spiritual del secondo Black Panther, quella visione del figlio di Smoke ne I peccatori sembra davvero il finale di Wakanda Forever – come in quel caso, anche stavolta la magia del sacro è soprattutto femmina). Come mantenere però, a fronte di tutto questo, la propria coerenza al cospetto del “capitale Marvel”?

Tutto Sinners parla di soldi, lo stesso “diavolo” affermerà che fare affari coi bianchi è stato l’inizio della rovina, e le paghe, le mance, i compensi sono l’espediente ritornante perché i vampiri possano avere un braccio umano a tiro (Stack sbatterà i suoi soldi sul bancone finanche nei post-credits…): la metafora non è tanto il potere del mojo nero contro la possessione dei demoni bianchi (che vengono dall’Irlanda, e infatti hanno gli occhi che brillano d’argento come le monete che vengono poste sulle orbite dei morti durante le veglie irlandesi… a porre l’attenzione sulla “questione irlandese” del film mi è capitato di leggere solo l’ineffabile Martiradonna di Black Fears Matter), quanto l’invito reiterato, ammaliatore, subdolo, della gente che tra le fila dei bianchi ci è già finita, e non fa altro che ripetere quanto si stia bene da quella parte.
L’assedio è soprattutto interno, fratricida (da qui il segno dei due gemelli identici che finiscono a battersi di nuovo come in un Black Panther, proprio loro che hanno ceduto alle tentazioni della vita di città, lontani dalle proprie strade), ad essere divisa dal canto tentatore dei vampiri è prima di tutto la comunità: non siamo troppo lontani dai dilemmi del giovane Adonis Creed, figlio di un nero multimiliardario, che per far valere la propria “autenticità” deve farsi tutta la trafila da criminale di strada in riformatorio fino agli incontri di Tijuana.
Quando Ryan Coolger tira fuori una delle sue incredibili sequenze multidimensionali (che gli conosciamo, appunto, dai tempi dell’exploit Marvel) in cui generazioni lontanissime di musicisti neri suonano tutte lo stesso pezzo che si origina dal blues di Preacherboy, dai griot africani ai rocker alla Hendrix fino ai beat dell’hip hop, è esattamente questo ciò che c’è in ballo: la tua autenticità, la connessione con la tua legacy.

Poi, certo, c’è il gioco western carpenteriano (che usa Carpenter principalmente per tornare alle origini hawksiane, come appunto una scala folk blues – consiglio numero 2: confronta l’ubriacone Delroy Lindo di Sinners con l’ubriacone Robert Mitchum di El Dorado), ma i pellerossa che lanciano l’allarme sul vampiro parlano più che altro la lingua di Charley Patton, il bluesman varie volte citato dal film, che era mezzo Cherokee. In stile Carpenter è soprattutto il versante black metal della colonna sonora di Ludwig Göransson, con i cori demoniaci quasi in vena simonettiana, che non mi convincono moltissimo.
No, il mood de I peccatori mi sembra musicalmente – e filosoficamente – molto più vicino al disco collaborativo tra James Brandon Lewis, super-sassofonista afroamericano della scena attuale, e il trio tutto bianco dei Mezzthetics, composto dal funambolico chitarrista Anthony Pirog e dalla sessione ritmica dei Fugazi (!), Joe Lally e Brendan Canty. L’album è uscito un annetto fa e confesso di non avergli dato l’attenzione che merita, almeno fino ad ora, che Coogler mi ci ha fatto tornare su in maniera ossessiva. Si tratta di musica molto sensuale, un altro degli aspetti di Sinners sul quale mi sembra siamo tutti un po’ timidi. Consiglio numero 3, buttategli un orecchio – come dicono loro parafrasando Sun Ra, the time is the place.


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