Blog VISIONI – BACK TO BLACK (Aldo Tambellini)

Riparto dal dissidio in nero, dal black della dissolvenza in chiusura che lascia sospesi sull’attesa di un fade in non necessariamente susseguente. Disillusioni del vedere, fragili aspettative che nascono dall’abitudine di una palpebra che si chiude con la pretesa di riaprirsi sempre…

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Aldo Tambellini, ritratto (elaborazione)

La suggestione (nel senso di suggerimento) viene dal Back to Black dell’omaggio ad Aldo Tambellini organizzato un paio di settimane fa al Centre Pompidou di Parigi da Giulio Bursi e Pia Bolognesi. Tre giorni – dal 6 all’8 gennaio scorsi – per (ri)trovare un filmmaker sperimentale italoamericano (Syracuse, 1930; Lucca, 1931; Syracuse, 1946; New York, Lower East Side, 1959), che ha forgiato il nero come seme da collocare nel ventre di un’epistemologia del visibile oscurato dalla storia.

 

Ottant’anni e passa, raggiunti da Tambellini con la veggenza in negativo (fotografico) che inverte i parametri della realtà per fissarli nel visibile, scomposti nella visione della sua Black Film Series che nei ’60 si affiancava all’esperienza di Stan Brakhage per sospingere l’atto del vedere filmico al di là della macchina che filma… Insomma, l’Expanded Cinema in fuga sul rettilineo della velocità, dell’accesso di luce nel diffondersi del buio: Tambellini (col bianco e) col nero manipolava la percezione fisica della realtà, lavorava sull’escrescenza del visibile negato, scopriva ombreggiature di luce nel buio persistente. Black Is, che nel ’65 inaugura la serie, è l’intuizione fondativa di un lavoro che capiva di dover fecondare in senso inverso il rapporto del visibile con la realtà: quasi un’ecografia del ventre in attesa, scandita da un ritmo cardiaco, indifferente come un loop acustico:

BLACK IS (1965)

Il rapporto del visibile è tutto giocato sul disseminarsi di frammenti che non lasciano scampo alla loro funzione espressiva, che perseguono un senso perennemente disequilibrato rispetto alla stabilità del rapporto tra luce e buio, tra palese e oscuro. Tambellini insiste quasi ossessivamente sul valore fecondo del suo rapporto col nero (“seed black, seed black, sperm black, sperm black” dice a proposito di Black Is), arrivando ad invertire la tradizione semantica che individua l’inizio nella scintilla, nel bagliore: “Black to me is like a beginning. A beginning of what it wants to be rather than what it does not want to be”.

BLACKOUT (1965)

L’idea stessa di lasciar urlare (… the howl…) il nero, di squarciare il buio con cacofonie elettroniche (come fosse frenesia manipolatoria sulla cellula fotoelettrica del sonoro ottico di un proiettore…), è testimonianza di ciò che vuole essere piuttosto che di ciò che non vuole essere. Ciò che è pronto al salto nella realtà, ciò che spinge e si insinua nel reale con la forza del silenzio: il nero diventa allora quello della comunità nera e Black Plus X si propone come l’atto in cui Tambellini non solo può permettersi di filmare il reale con una camera a mano (è questo l’unico lavoro della serie interamente filmato con una macchina da presa), ma arriva a forzare la realtà, invertendone i parametri: Black Plus X è, come dice lui stesso, “a filmic device by which a black person is instantaneously turned into white by a mere projection of the negative image”.

BLACK PLUS X (1966)

L’incedere del found footage è la scansione in nero – catartica! – di un rapporto con la realtà storica e sociale americana che va facendosi per Tambellini sempre più critica, un trip inacidito di sospetto, mistero, violenza, battuta dalle sonorità tribali/contestatarie di un fuorisincrono ben lontano dal loop cardiaco del fondativo Black Is.

E infatti Black Trip 2 è classificato dall’autore come “an internal probing of the violence and mystery of the American psyche seen through the eyes of a black man and the Russian Revolution”

BLACK TRIP 2 (1967)

La ritmica è funzione di un rapporto primario con un’energia che è davvero funzione rivoluzionaria, se abbinata alla semantica del “nero”. L’esatto opposto dell’esplosione che è luce, bagliore… Il footage che implode nella pellicola graffitata, il movimento che si riassorbe nel nero smarginato, tutto si traduce in una forma della velocità che sembra anticipare l’ossessione stroboscopica di Ken Jacobs e la sua pulsione scopica assoluta (Tom, Tom, The Piper’s Son sarebbe arrivato due anni più avanti): “I believe this era demands an understanding of the ‘instantaneous’; the ability to communicate at the speed of light; the development of organic concepts to bring man closer to the forces of nature – a new orientation of the senses..”,aveva scritto Tambellini nel ’62 in una prosa che portava lo stesso titolo di questa poesia:

Dal catalogo della mostra “BLACK IS: Painting, Videograms, Sculpture, Video”, Pierre Menard Gallery, Cambridge, MA, Ottobre/Novembre 2010.

in cui il filmmaker poeta pittore riversa/conversa/verseggia una sorta di “sceneggiatura” ideale della Black Film Series

La militanza, del resto, è ribaltamento del segno visibile di una società che scandisce la solitudine del found footage nel doppio (tele)schermo videocinematografato in Black TV, il lavoro forse più famoso di Tambellini, opera al nero di dissezione della televisione come funzione di menzogna e trasmissione ipnotica:

BLACK TV (1968)

Black TV, col suo manipolare emulsioni e analogico, pellicola e videotape, corre rapito nel suo presente, vince a Oberhausen ’69 e rientra nella collezione del MOMA di New York. Rivisto nel 1981, si trasformerà per Tambellini in questa poesia in forma di proiettile…

Images are bullets targeting the screen”, per l’appunto…

Il nero si ferma qui, laddove per Tambellini inizia ad essere più intenso il rapporto con la tela e la parola scritta.

dal catalogo della mostra “BLACK IS: Painting, Videograms, Sculpture, Video”, Pierre Menard Gallery, Cambridge, MA, Ottobre/Novembre 2010.

O forse dove l’intermittenza tecnologica del video lo ipnotizza e dove inizia a insistere sui visual studies e sulle applicazioni creative della communicationsphere

Sino a quando la storia americana non rigurgita altro nero sulla realtà: quello dei cappucci che oscurano il volto dei prigionieri iracheni crocefissi nelle prigioni dei marines e quello delle immagini dei bombardamenti notturni su Baghdad… Quei bombardamenti “chirurgici” che fanno vittime civili e che riportano Tambellini alla sua infanzia italiana, quando a Lucca, nella notte dell’Epifania del ’44, rischiò di essere un “danno collaterale” del bombardamento alleato che lasciò sotto le macerie di un palazzo 21 suoi vicini.

Tambellini, “as a survivor of WWII in Italy”, si prende il diritto di mettere in ascolto il mondo, traducendo le cacofonie e gli impasti di nero dei ’60 nella nettezza (digitale) delle immagini e del discorso di Listen:

 LISTEN (2005)


Lo slancio è pari, conseguente, a quello di un impegno politico che del resto incide la sua espressione anche nel riquadro delle composizioni visive/poetiche dei Visual Political Poems

clicca sull’immagine per accedere alla gallery (da http://www.aldotambellini.com/works/works2.html)

o nei versi di they are lost in an apocalyptic landscape:

Aldo Tambellini – They’re lost in an apocalyptic landscape

(clicca per ascoltare il reading)

o degli altri Poems di Tambellini.

Che poi Aldo Tambellini sia un artista che corre sullo stesso rettilineo del nostro tempo, lo prova il suo sito ufficiale, dal quale ho attinto queste Visioni e al quale rimando per molto altro ancora.

Black Plus x (1966)

Black Plus x (1966)

Black Plus x (1966)

 

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