Blog VISIONI – «Raoul!» Sonnambulismi (im)perfetti da festival

 

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Torni da Rotterdam. Alla fine attraversi un festival nel sonnambulismo perenne dell’innamorato, materializzi visioni che appartengono solo a te, nonostante il refrain interrogativo dei compagni di viaggio che incroci di corsa (“Allora, cosa hai visto di bello?”).

Attraversi la città nel delirio delle tue traiettorie invisibili, vettori di programmazione che ti portano nell’altrove di un fascio di luce che taglia la sala buia, mentre le topografie urbane insistono sulle mappe della realtà, ignorate o forse solo ingoiate, dall’onnivoro lavorio dello sguardo/film/festival, che ti porti addosso come l’abitudine di un cappotto, a volte troppo pesante a volte persino leggero.

La tua identità momentanea, astratta, di spettatore si fissa sulle mappe di luoghi/sale/videolibrary che insistono sulla tua quotidianità fuori dal (tuo) tempo abituale, persegui un programma soggettivo che interseca quello oggettivo del “time table” festivaliero, contando sulla possibilità di incastrare ending ed incipit nel (di)battito di ciglia che separa aspettative differenti, e pur sempre afferenti nella tua voglia di cinema.

In tutto questo frastuono, certi paletti ti aiutano a segnare il passo con la cadenza lapidaria delle pietre miliari. Per esempio la scansione insistita del virtuale “sipario” del festival che si apre su ogni proiezione, quel frammento di cinema che introduce ogni programma timbrando il cartellino della selezione…

Chiamatelo “trailer”, o “leader”, o italicamente “sigla”: sta lì a ogni abbassarsi di luci in sala, a volte diverso per ogni sezione del festival, biglietto da visita che gioca con le tue attese reiterando sempre la stessa promessa, refrain o tormentone che sia…

Un po’ come il tormentone che storicamente a Cannes accompagna in Sala Debussy l’eterno “leader” (o “trailer”… o “sigla”…) che dagli abissi porta la scala verso le altezze stellate: «Raoul!» urla la voce in sala, a rompere il buio con un richiamo che è ormai tradizione.

L’origine esatta del rito ovviamente non (mi) è dato saperla, ma è bello poter immaginare una voce che brancola nel buio incipiente della sala in cerca di un compagno di visione, urlo scaturito dall’improvviso sonnambulismo da spettatori che vanno a tentoni nell’oscurità subitanea, in cerca del proprio posto, del proprio compagno, di se stessi…

Sì, un po’ come la Isidore sonnambula di quel certo Raoul, che seguiva le proprie braccia protese verso il mare, tentatrice nella luce del giorno di un amor perduto:

da La ville des pirates di Raoul Ruiz (1983)

Traiettorie cieche della passione, quelle di Isidore, sospinte nel giorno, seguendo il proprio sogno, suicidio momentaneo e interrotto della propria realtà: magari una traslucida metafora dello spettatore, negata all’abbraccio del desiderio dall’ironia di quel Raoul…

Non lo stesso, però, nella Copia imperfecta di quella visione, creata con dedizione ruiziana da un altro cileno, il giovane José Luis Torres Leiva, per Rotterdam 2012, come “leader” – per l’appunto – dell’Hubert Bals Fund: dove, nel bianco e nero graffiato di un falso found footage, Isidore realizza il suo abbraccio sonnambulo e trova il bacio della sua passione, sia pure nell’effetto (quasi impercettibile) di una proiezione a marcia indietro…

Copia imperfecta di José luis Torres Leiva (2012, leader per 41st International Film Festival Rotterdam, Hubert Bals Fund)

Sogno, sonno, visione, lo smaterializzarsi della realtà nell’incontro col desiderio rifranto/infranto del corpo semovente nell’immagine di sé: l’intuizione forse stava già all’origine del filmare, laddove Marey e gli altri (Demeny, Regnault, Comte), prima dei Lumière, lavoravano in cerca dello schermo.

E Torres Leiva questo lo sa bene:


Ilusión de Movimiento 1,2,3 di José Luis Torres Leiva (2008)

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