Blueback, di Robert Connolly

Come una goccia nello splendido oceano che filma, la storia della biologa marina Abby e del rapporto con la madre attivista si perde in una narrazione piana e dal messaggio fin troppo ottimista

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Si comincia con una distesa quasi infinita di acqua blu, inchino nemmeno tanto velato alla maestà degli abissi cinematografici James Cameron. Dopo, uno screzio tra mamma e figlia sulla terraferma. Poi di nuovo acqua cobalto. Poi ancora un falò sulla spiaggia dove i dissapori tra i personaggi della fittizia Longboat Bay tornano ad essere quello che sempre dovrebbero, ovvero, per restare in tema igneo, fuochi fatui. Infine altra acqua, questa volta smeraldo perché la mdp si immerge nelle profondità dell’oceano con una voluttà da sommozzatori davvero partecipe, scandagliando la moribonda barriera corallina, quasi bianca ormai – il colore della morte, non solo per questa formazione rocciosa – anche in questo angolo di paradiso terrestre.

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Blueback sfugge continuamente a sé stesso, cercando di dare un soffio di respiro narrativo alla bellezza di ciò che le immagini raccontano da sole. Il sostrato letterario da cui il film prende le mosse, e cioè il romanzo best-seller di Tim Winton, rimane anch’esso allo stato liquido, quasi gassoso, non riuscendo mai a solidificarsi nemmeno per qualche fugace attimo. Il viaggio nella memoria passata e nel dolore presente di Abby (Mia Wasikowska, compartecipe dell’atonalità emozionale del film), giovane ed affermata biologa marina costretta a rientrare in questo pezzo di wasteland marino della costa occidentale australiana a causa dell’ictus dell’ingombrante madre attivista (Radha Mitchell, lei sì libera di esibire fieramente la sua wilderness ecologista), si disperde tra rievocazione della movimentata adolescenza della giovane donna, battaglie ambientaliste di ieri ed oggi e l’avventura con la cernia azzura che dà il titolo al film.

Connolly non spezza le tre diverse linee temporali (c’è spazio anche per l’infanzia di Abby) ma le salda in una specie di grande unicum spaziotemporale mostrando come lo studio della rottura del fragile equilibrio corallino sia la grande eredità materna e geografica che Abby finisce per abbracciare dopo l’ovvia riluttanza adolescenziale. Tutto molto delicato e suggestivo, pure troppo: Blueback si specchia in questo ottimismo della ragione fino a rendere anche gli speculatori che vogliono costruire il solito mega-resort di lusso e gli invadenti pescatori che utilizzano fucili marini anche dove non è permesso figure non particolarmente esecrabili, quasi figli degeneri che sbagliano ma appartengono comunque alla grande famiglia della Natura. Così anche l’analogia principale del lungometraggio, che dovrebbe essere l’indomita selvatichezza del rude pesce – anche se fa un po’ sorridere che a dare questo giudizio antropico sia proprio una ragazzina in simbiosi con gli oceani – così speculare a quella di Abby, si perde tra momenti clou che sono girati in maniera debole, come la morte di Macka (un Eric Bana in evidente gita turistica) mostrata in maniera approssimativa e inspiegabilmente senza conseguenze drammaturgiche.

 

Titolo originale: id.
Regia: Robert Connolly
Interpreti: Mia Wasikowska, Radha Mitchell, Ilsa Fogg, Eric Bana, Albert Mwangi, Clarence John Ryan, Erik Thomson, Ariel Donoghue, Elizabeth Alexander, Eddie Baroo
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 102′
Origine: Australia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.3
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Il voto dei lettori
1 (1 voto)
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