BOETTICHER all’alba

Se n'è andato a 85 anni il grande cineasta dei western. Rieccovi il pezzo che pubblicammo lo scorso anno dopo l'omaggio del Torino Film Festival

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Ecco, adesso sappiamo cosa prova un chitarrista di grande entusiasmo e poca esperienza quando assiste a una performance di Jimi Hendrix in videocassetta. Butterebbe volentieri lo strumento alle ortiche. Avevamo le idee chiare su Budd Boetticher quando il capo dei selvaggi Chiacchiari ci assegnò il pezzo: poi, per curiosità e voglia di approfondire, siamo andati a leggere l’articolo sul cineasta western scritto da Paul Schrader e pubblicato sul catalogo del Torino Film Festival. Arrivati all’ultima parola, avremmo volentieri gettato la chitarra alle ortiche. Quando Schrader definisce Randolph Scott “un Cristo Pantocrate che osserva ogni cosa dall’alto di una cupola bizantina”, quando ci ricorda che l’eroe in Boetticher “sopravvive non tanto per via della sua abilità, ma grazie alla provvidenza, sopravvive perché è Giusto”, non si saprebbe cos’altro aggiungere. Il fatto è che con Boetticher (e Schrader) ci si lascia prendere facilmente dall’entusiasmo: i suoi film del ciclo Ranown (quelli diretti tra il 1956 e il 1960) sono sì di “serie B” se si seguono criteri economici, in quanto rigorosamente low budget, ma sfiorano il sublime da un punto di vista artistico, perché segnano lo scarto tra la mitopoietica fordiana e l’esistenzialismo western di autori come Nicholas Ray, Anthony Mann e Roul Walsh. Boetticher e lo sceneggiatore Burt Kennedy, come annota Schrader, hanno fatto film più “rappresentativi che realistici”, in nome, forse, di un espressionismo essenziale che esalta, e non svilisce, le forme del cinema. Il discorso critico su Boetticher si esaurisce qui: rispetto a quanto scritto da Schrader sul catalogo sembreremmo dei pigmei se aggiungessimo qualunque altra cosa. Resta però una considerazione neanche tanto marginale. Perché è importante (ri)scoprire oggi il cinema di Boetticher? Forse perché uno dei più applauditi film del festival è stato l’ignobile, indicibile Requiem for a Dream di Darren Aronofsky, che per un discorso di etica dello sguardo è perfettamente antipodale rispetto ai western del ciclo Ranown. Il rigore cartesiano di Boetticher come baluardo alla barbarie della visione, Randolph Scott come San Giorgio contro il drago. Anche nella metafora evangelica, Schrader ha visto giusto. Guerra santa sia!

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array

    BOETTICHER all’alba

    Ecco, adesso sappiamo cosa prova un chitarrista di grande entusiasmo e poca esperienza quando assiste a una performance di Jimi Hendrix in videocassetta. Butterebbe volentieri lo strumento alle ortiche. Avevamo le idee chiare su Budd Boetticher quando il capo dei selvaggi Chiacchiari ci assegnò il pezzo: poi, per curiosità e voglia di approfondire, siamo andati a leggere l’articolo sul cineasta western scritto da Paul Schrader e pubblicato sul catalogo del Torino Film Festival. Arrivati all’ultima parola, avremmo volentieri gettato la chitarra alle ortiche. Quando Schrader definisce Randolph Scott “un Cristo Pantocrate che osserva ogni cosa dall’alto di una cupola bizantina”, quando ci ricorda che l’eroe in Boetticher “sopravvive non tanto per via della sua abilità, ma grazie alla provvidenza, sopravvive perché è Giusto”, non si saprebbe cos’altro aggiungere. Il fatto è che con Boetticher (e Schrader) ci si lascia prendere facilmente dall’entusiasmo: i suoi film del ciclo Ranown (quelli diretti tra il 1956 e il 1960) sono sì di “serie B” se si seguono criteri economici, in quanto rigorosamente low budget, ma sfiorano il sublime da un punto di vista artistico, perché segnano lo scarto tra la mitopoietica fordiana e l’esistenzialismo western di autori come Nicholas Ray, Anthony Mann e Roul Walsh. Boetticher e lo sceneggiatore Burt Kennedy, come annota Schrader, hanno fatto film più “rappresentativi che realistici”, in nome, forse, di un espressionismo essenziale che esalta, e non svilisce, le forme del cinema. Il discorso critico su Boetticher si esaurisce qui: rispetto a quanto scritto da Schrader sul catalogo sembreremmo dei pigmei se aggiungessimo qualunque altra cosa. Resta però una considerazione neanche tanto marginale. Perché è importante (ri)scoprire oggi il cinema di Boetticher? Forse perché uno dei più applauditi film del festival è stato l’ignobile, indicibile Requiem for a Dream di Darren Aronofsky, che per un discorso di etica dello sguardo è perfettamente antipodale rispetto ai western del ciclo Ranown. Il rigore cartesiano di Boetticher come baluardo alla barbarie della visione, Randolph Scott come San Giorgio contro il drago. Anche nella metafora evangelica, Schrader ha visto giusto. Guerra santa sia!

    --------------------------------------------------------------
    #SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

    --------------------------------------------------------------
    --------------------------------------------------------------
    CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

    --------------------------------------------------------------

      ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

      Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


      Array