Boom! Boom! The World vs. Boris Becker, di Alex Gibney

Gibney incontra il grande tennista tedesco e racconta la sua esemplare parabola di ascesa e caduta. In un documentario in due parti per Apple. La prima presentata in anteprima Berlinale Special Gala

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Alex Gibney segue ormai da tempo un doppio binario. Da una parte, i film inchiesta che affondano nei grovigli della storia più recente. Dall’altra, i ritratti di personaggi famosi, raccontati fin nei loro aspetti più controversi. È la traiettoria apparentemente meno politica del suo cinema. Ma anche quella che svela appieno la sua capacità di leggere il lato nascosto, ciò che sta dietro il velo dell’immagine pubblica. Lance Armstrong, Steve Jobs, Frank Sinatra, fino al Mikhail Khodorkovsky di Citizen K che unisce in maniera straordinaria la doppia anima di Gibney. Adesso è la volta di Boris Becker, in un documentario in due parti per Apple. Una storia di grandissimi risultati sportivi, di fama, ricchezza, ma anche di fallimenti, oscure operazioni contabili e finanziarie. Più volte perseguito per evasione fiscale, lo scorso aprile Becker è stato condannato dai giudici di Londra a una pena di due anni e mezzo di reclusione per bancarotta fraudolenta. Ha scontato otto mesi, poi a dicembre è stato rilasciato ed estradato in Germania. Insomma, un’esemplare storia di ascesa e caduta.

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Se riuscirai a confrontarti con Trionfo e Rovina/ E trattare allo stesso modo questi due impostori” è scritto all’ingresso del campo centrale di Wimbledon. Sono versi di If –, la poesia che Rudyard Kipling scrisse per il figlio. E la prima parte di Boom! Boom! The World vs. Boris Becker mette al centro dell’obiettivo proprio la stagione del Trionfo. O meglio, al cento del mirino, viste le suggestioni da spaghetti western che Gibney si diverte a evocare con le musiche e le grafiche. Giocando con il soprannome con cui fu immediatamente ribattezzato il tennista tedesco, forse il primo battitore selvaggio della storia. Ma come scrisse Gianni Clerici “soprannominato Bum Bum da cronisti incompetenti, ebbe, oltre al vigore, manina fatata”… Già, Becker non ha mai apprezzato molto quel nomignolo, come mostrano anche le risposte piccate ai giornalisti: “mia madre ha voluto chiamarmi Boris, non certo Boom Boom”. E, allora, insistere sin dal titolo, serve a settare immediatamente uno dei motivi centrali del film. La relazione non sempre felice con i media. E, quindi, l’odissea del “personaggio”.

Quando, a poco più di 17 anni, Becker vince la finale di Wimbledon, è il più giovane tennista della storia ad aggiudicarsi il tiolo del singolare maschile. Una rivelazione scioccante, che segna il primo atto di una carriera stellare. Ma anche l’inizio di un accidentato percorso di gestione della propria immagine da parte di un campione ancora adolescente. Se Becker si impone ben presto come una megastar planetaria, è pur vero che intorno a lui si costruisce una zavorra di aspettative, intromissioni mediatiche, che influiscono sulla sua vita sportiva e privata. Secondo la predizione dal manager Ion Tiriac, vecchia volpe del tennis e degli affari. Ed è la pista su cui Gibney si muove. Del resto, per sua stessa ammissione, la prima fascinazione è per il Becker commentatore Tv, per le sue capacità affabulatorie, il talento da show man. È, dunque, il piano della rappresentazione e della narrazione il punto focale. Il modo in cui il personaggio si presenta e il modo in cui viene visto dagli altri.

Gibney si concentra su questo, nel solito impressionante lavoro di repertorio: l’impalcatura che sorregge i momenti di incontro diretto, due interviste girate tra il 2019 e il 2022, e le testimonianze dei colleghi, dei nemici, dei compagni di viaggio. Tiriac, John McEnroe, Björn Borg, Mats Wilander, Michael Stich, l’ex moglie Barbara… Sì, manca Edberg, il rivale per eccellenza, manca l’automa Lendl, mancano molti protagonisti della nuova generazione, a parte Djokovic. Ma il quadro è comunque più che esaustivo. Fino a comporre un trascinante racconto di sport, di rivalità, di questioni tecniche, di sottili duelli psicologici. Cha va dai momenti di divertimento incontenibile, come il ricordo dell’incontro in Vermont, in cui McEnroe simula la tosse di Becker fino ai limiti della parodia, agli istanti più cupi delle crisi sportive ed esistenziali. È qua che si aprono le crepe, gli squarci da cui traspare una verità ulteriore, oltre lo spettacolo. Basta una contraddizione, un momento di smarrimento e Gibney affonda il colpo. Cercando di focalizzare le dinamiche di una persona che si costringe continuamente alle corde, per mettere alla prova la sua forza fisica e spirituale. Come per affermare ogni volta la propria statura di uomo. “Se riuscirai a confrontarti con Trionfo e Rovina/ E trattare allo stesso modo questi due impostori… sarai un Uomo, figlio mio!”. Ecco, alla fine è questo che conta. Come sempre. Il tentativo di essere uomini, nonostante tutto. Nell’attesa della rovina, l’immancabile prova definitiva.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2
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Il voto dei lettori
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