BOOM Headshot! Linguaggi cinematografici mutuati dal videogioco in John Wick 4

C’è un nuovo corso di film d’azione occidentale che si esperiscono come videogiochi. In cui la trama diventa qualcosa di secondario a favore di una scansione tipica da videogame

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Da quando negli anni ’80 il cinema comprese le potenzialità immaginifiche del videogioco si sono sempre alternati due tipi di adattamento videoludico sul grande schermo: da una parte abbiamo gli adattamenti cinematografici dei titoli nati come giochi. Film come Resident Evil, Mortal Kombat o più di recente la serie Halo, in cui la trama diventa lo spunto narrativo per una traduzione in un nuovo media. Dall’altra parte abbiamo film che mutuano dal videogioco determinate unità narrative come il first person shoot di Doom o Hardcore Henry o l’headshot dei film di zombie. Con John Wick ci troviamo davanti ad un nuovo tipo di prodotti culturali; non possiamo parlare di adattamento di nessun videogame, eppure scorre sullo schermo come uno di questi, con una divisione per livelli scandita dallo scontro con un boss di fine stage, lo scontro con il grande cattivo finale, l’upgrade di armi ed equipaggiamento, diversi setting di livello e un protagonista capace di incassare una grande quantità di colpi senza morire prima di aver esaurito “la vita”, gli headshot. Di fatto i film della saga con Keanu Reeves, e il quarto in particolare, sembrano comporre svariate unit operations del mondo dei videogiochi per realizzare l’adattamento del più grande videogioco che non è mai stato rilasciato, e che si guarda con lo stesso piacere con cui si guarda un walkthrough di YouTube piuttosto che come un film classico.

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Ma che cos’è una unit operations? Per il filosofo dei media Ian Bogost esse sono unità minime di significato che si ripetono lungo l’intero testo e contribuiscono a modellarne i contenuti, esse sono rintracciabili in ogni prodotto culturale. Un esempio è il film Doom diretto nel 2005 da Andrzej Bartkowiak. Oltre ad essere un adattamento dell’omonimo titolo di ID Software, verso la fine del film si assisteva ad una vera e propria parentesi narrativa in cui il protagonista, interpretato da Karl Urban, imbracciava l’arma e attraverso una ripresa in prima persona si faceva largo tra orde di demoni e nemici, raccogliendo le loro armi e avanzando in maniera analoga al Doom guy del videogioco. In questo caso il piano sequenza non sta evocando il videogioco solo nelle sue modalità di rappresentazione, ma anche, e soprattutto, in “ciò che esse significano”: immersione in un ambiente ostile, senso di controllo e dominio, serializzazione della violenza condotta contro nemici di identità indefinita.

Queste figure intermediali diventano così figure a due punti di vista: in primo luogo costituiscono un modo di rappresentazione definito e rintracciabile, in secondo luogo rappresentano una figura che diviene visibile contro lo sfondo del resto della rappresentazione, attivando precise configurazioni di significato. In John Wick 4 un’unità simile è rappresentata dallo spettacolare piano sequenza ripreso dall’alto che accompagna l’utilizzo del Dragon’s breath shotgun. John recupera dal cadavere di un nemico quest’arma capace di sparare proiettili fiammeggianti in grado di attraversare il kevlar dei vestiti antiproiettile. La visuale si sposta verso l’alto e noi assistiamo, attraverso una nuova visuale isometrica, all’ennesimo massacro di cattivi, in un richiamo più che superficiale alla serie di videogiochi Hotline Miami. Nuovamente quello che Chad Stahelski ci mostra non è soltanto un modo di rappresentazione, ma qualcosa che va oltre e richiama tutta una serie di violenze serializzate, contro nemici anonimi che si scagliano ad ondate ad affrontare il protagonista, in cui lo spettatore è padrone del movimento di quest’ultimo anche grazie al getto di fuoco che lo rende diverso dalla massa di mob e quindi identificabile anche dall’alto.

 

Nonostante questo specifico piano sequenza dall’alto, è però interessante notare come il nuovo cinema d’azione statunitense si componga sì di unità narrative, ma che nel contesto della rappresentazione perdono il loro carattere eccezionale. Non sono più “figure visibili contro lo sfondo del resto della rappresentazione” o parentesi narrative, esse rimangano costantemente presenti durante tutta la durata dell’opera, a volte alternandosi una dopo l’altra o combinandosi tra di loro. Si pensi all’headshot, probabilmente la figura intermediale più evidente e riconoscibile di tutto il franchise di John Wick. Esso non è più qualcosa di eccezionale che viene incorniciato nella sua messa in scena da gratificazioni sonore o visive (come, ad esempio, nella serie Sniper elite dove i colpi alla testa sono premiati da sequenze particolarmente truculente o nel videogioco Counter Strike dove gli headshot sono sottolineati da un differente effetto sonoro rispetto ai bodyshots). Nella serie diventa un marchio di fabbrica, qualcosa che John ripete sistematicamente, senza farci caso e senza che sia sottolineato allo spettatore, molto spesso esso è presente anche mentre scorrono altre unità narrative (ad esempio proprio durante la sequenza “Hotline Miami”). È proprio qui che si nasconde la dimensione ludica di film d’azione come John Wick, Bullet train o gli originali Amazon Boss Level e Gunpowder Milkshake, nel loro comporsi come collage di unità narrative in costante comunicazione tra di loro e con un panorama mediale molto più vasto ed articolato.

I film così costituiti comunicano con lo spettatore, e in particolare con i giovani spettatori, in maniera sottile, facendo riferimento ad un bagaglio di conoscenze a cui chiunque con dimestichezza delle console (ma anche soltanto di Twitch o YouTube) abbia accesso e per questo si sviluppano come dei gameplay, abbandonando la trama in favore di una sequenzializzazione che deriva da un altro media, dal videogioco appunto. In questo modo, nonostante l’apparente novità rappresentata da John Wick 4, il film ci appare sempre famigliare, come qualcosa di già conosciuto.

La nuova cinematografia d’azione è un pastiche ludico in cui non c’è più necessità di una trama articolata. Come nei videogiochi diventa molto più importante che i personaggi si muovano in uno storyworld coerente ed intrigante, che magari permetta allo spettatore/giocatore di approfondire autonomamente la lore del mondo attraverso forum, siti, blogger e fonti di intrattenimento secondarie, lasciando al cinema solo il compito di inanellare spettacolari sequenze d’azione sempre più fisiche, sempre più coreografiche, in cui possono abbondare headshot e che finalmente si lasciano alle spalle la totale dipendenza dal CGI di un certo cinema mainstream occidentale.

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