Borotalco, di Carlo Verdone

Una commedia di maschere ed equivoci, di inganni leggeri, di bugie dette a fin d’amore. Ma il vero protagonista è Lucio Dalla e la sua musica. Stasera, Cine34, ore 19

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“Ecco, questo è il tuo primo vero grande film. Bravo figlio mio”.

Al di là del successo commerciale, forse non c’è cosa più grande che rendere orgoglioso il proprio genitore. Borotalco era il film preferito da Mario Verdone tra quelli diretti da Carlo e da quel momento si convinse che l’allora poco più che trentenne regista potesse avere un futuro. Non è un caso che questo ricordo arrivi proprio in occasione della recente premiazione di Bangla al Festival del Cinema Europeo di Lecce, anche qui una storia generazionale di un giovane autore agli inizi della sua carriera che interpreta, scrive e dirige. Certo, la Roma multietnica di Torpigna ha poco da spartire con i quartieri residenziali della capitale in cui Nadia e Sergio si muovono, se non il concetto di periferia stessa che in Borotalco si lega a un discorso sull’identità e sul desiderio di essere qualcun altro e fuggire dalle convenzioni (la corsa in moto lungo la Colombo).

Perché è una commedia di maschere ed equivoci, di inganni leggeri, di bugie dette a fin d’amore: la sequenza iniziale di preparazione e vestizione è in tal senso una premessa di quello che vedremo a breve, cioè una messa in scena di persone che si fingono personaggi e che finiscono per attenersi a un copione, non trovando il pieno coraggio di dire no a un destino già apparecchiato. Verdone non rinuncia a riproporre il suo cavallo di battaglia: i goffi e “fregnoni” Leo di Un sacco bello e Mimmo di Bianco, rosso e Verdone ora si chiamano Sergio e sono in aria da matrimonio;  ma il bambinone non è poi tanto cresciuto, anzi divide una stanza in un convitto con l’amico Marcello (un De Sica che avremmo voluto vedere di più e che tornerà, nella finzione come lo era stato nella realtà, a essere un compagno di scuola).  Al tempo stesso Verdone trova una strada nuova, una forma di racconto decisamente cinematografica che guarda sì ai padri adottivi (Sordi) e in generale a una comicità italiana (tra il cinema espressionista tedesco e Beethoven c’è uno scarto minimo) che a sua volta ha fatto storia (Brega e le sue olive); e che non si accontenta di citare grandi nomi (“E baciami, scemo”) preferendo invero rielaborare a modo suo quel gusto per la farsa dal tono brillante e in sottofondo amara.

Co-protagonista agli antipodi è Eleonora Giorgi dalla parlata marcatamente, forse troppo, romana che interpreta un altro ruolo fresco e divertente, di donna indipendente che vorrebbe realizzarsi, sicuramente poco conforme al classico modello familiare (pensiamo a Mia moglie è una strega o a Mani di fata). La sua ossessione per Dalla sarà al centro di tutto il film e quest’omaggio ne è la cosa più bella.

Imprevedibile e imprendibile come la sua musica e il suo stile, “l’uomo del domani” è il vero protagonista pur restando fuori dall’obiettivo: diventa una figura mitica, quasi irreale, sognata e desiderata. Non concede fugaci visioni come Moana Pozzi; la sua rappresentazione passa in filigrana attraverso un’idea, un’invenzione orale frutto della fantasia, un’immagine iconica – quella con berretto ed occhialini, e sguardo all’insù. E mentre quei brani, composti insieme agli Stadio, ci accompagnano fino ai titoli di coda, a chi si sta ancora chiedendo se Nadia sia riuscita a incontrare Dalla rispondiamo di sì. Hanno cantato insieme; no, non Un fiore per Hal ma L’ultima luna. Ed è tornata a casa felice con la maglietta autografata.

 

Regia: Carlo Verdone
Interpreti: Carlo Verdone, Eleonora Giorgi, Angelo Infanti, Mario Brega, Moana Pozzi, Elisa Mainardi
Durata: 97′
Origine: Italia, 1982
Genere: commedia

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
4.25 (4 voti)
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