Branger_Briz vs Muse – La post-verità è LIVE su youtube

Il video di Dig Down è un algoritmo che si rinnova ogni giorno, capace di raccogliere frammenti di interviste, talk show e assemblarli in modo da seguire la canzone e comporre le parole del testo

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Da quando l’Oxford Dictionary ha eletto il termine “post-verità” a parola dell’anno, pare non ci sia altro modo per descrivere la società moderna.
Bombardati dagli esiti sorprendenti dei referenda nostrani e britannici, dell’ascesa di Trump e del collasso dell’attendibilità giornalistica sul web, il concetto di post-verità è stato sempre più il protagonista indiscusso delle prime pagine dei quotidiani mondiali.
Fino ad ora, il termine pare sia rimasto intrappolato proprio in quest’ambito, impermeabile a qualsiasi tipo di traduzione in campo artistico, ma un primo, significativo tentativo, lo compie il collettivo di programmatori Branger_Briz, a cui spetta il compito di tirar fuori dal cilindro il secondo videoclip dell’anno dei Muse: Dig Down.

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Ma di cosa parliamo quando pronunciamo la parola post-verità?
Lasciando da parte le definizioni dizionaristiche, si tratta della tendenza della massa a preferire “una stronzata detta bene” ad una notizia attendibile, purché a spararla grossa sia una figura mediaticamente influente. La maschera prevale sulla verità, perché è la verità stessa ad aver perso di significato. È senza dubbio un morbo che colpisce anche il mondo del cinema e ciò non fa che complicare il lavoro al collettivo dei Branger_Briz, a maggior ragione se i committenti sono una band sì popolare, ma sempre più criticata come la band britannica in questione e se il videoclip richiesto è la seconda versione di un singolo uscito ben due mesi prima. I programmatori scelgono, quindi, la carta della sorpresa e si allontanano dai canoni del prodotto cinematografico: la loro interpretazione del videoclip è un algoritmo, capace di raccogliere frammenti di interviste, talk show, dibattiti ed assemblarli in modo tale da seguire l’andamento della canzone e comporre le parole del testo.
Apparentemente nulla di nuovo se comparato alle migliaia di video parodia che popolano i social da anni, ma la visionarietà dei Branger_Briz è concentrata nel nucleo di questo prodotto: non un maniacale lavoro di montaggio, bensì un codice che si aggiorna e si distrugge ogni giorno, creando ogni ventiquattro ore una versione diversa del video, attingendo dalla viva materia che compone internet.

In un’epoca in cui la post-verità ha indebolito il valore della parola, non importa più cosa venga cantato, bensì quale volto, nome o nickname sia presente a schermo. È questo quello che viene messo in risalto dal collettivo di Miami, ma non senza difficoltà. Il prodotto in questione sacrifica la sua godibilità a favore della sperimentazione, risultando macchinoso e poco godibile, portando inevitabilmente i fan della band a preferire il primissimo videoclip uscito (paradossalmente il suo opposto: tecnicamente encomiabile, ma povero nei contenuti). In questo freddo lavoro matematico, però, si fa strada un’inattesa spinta interpretativa che permette ad ogni

gif critica 2 spettatore di recepire il videoclip in maniera diversa, soggettiva. Chiunque osservi per la prima volta questo lavoro non potrà che rimanere sorpreso scrutando tra le caselle che dominano lo schermo, tendendo a riconoscere e tenere a mente i volti a lui più noti. Si tratta di un fenomeno che gli anglosassoni definiscono “Camere dell’eco”: la tendenza di ognuno di noi a selezionare la propria verità, ad escludere dalla nostra dose quotidiana di (dis)informazione tutto ciò che è in antitesi con il nostro pensiero.

Ecco quindi che qualcuno si ricorderà di Nolan che compare e scompare a schermo, altri di Trump che canta il ritornello o altri ancora di Papa Francesco I che chiude il pezzo accompagnato dal suono metallico dei sintetizzatori.
Il nuovo e ardito videoclip di Dig Down, riesce quindi a descrivere in maniera innovativa la realtà, osando su un terreno mai esplorato prima d’ora, ma fallisce sotto il profilo dell’intrattenimento, dimenticando di dover essere in primo luogo un prodotto godibile e reiterabile. Risulta quindi un gradevole esperimento che, si spera, spiani la strada a nuovi prodotti, capaci di descrivere con efficacia l’attuale epoca della post-verità.

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