BRASILE 2014 – Il burro dimesso e San Giovanni Decollato

chiellini
L’Italia non ha fame, l’Uruguay morde alle spalle, perché le caviglie azzurre sono ormai burrose. L’ultima immagine, quella di Buffon in attacco, è emblematica di un Paese che cerca ossessivamente rottamatori. Brandelli come San Giovanni Decollato, ma non siamo certo nel Rinascimento
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casa biancaNon è da tutti dare le dimissioni, ovunque ci si trovi, anche dalla Casa Bianca o Casa Azzurri. E invece c’è chi lo ha fatto. E’ arrivata una notizia non tanto dolce per la famiglia Obama visto che il pasticciere Bill Yosses si è tolto il grembiule e ha salutato tutti. La decisione è maturata per la svolta salutista della First Lady Michelle che ha cambiato i menù della Casa tagliando le calorie all’ennesima potenza, ma probabilmente anche per ragioni di orgoglio personale nel lavoro visto che, come ha dichiarato lui stesso al New York Times, Yosses non era favorevole all’esclusione totale di burro, crema, zucchero e uova dalla sue creazioni. Arrivata Michelle Obama si è voltata pagina, via gli eccessi arriva la lotta contro l’obesità, il programma “Let’s Move” come manifesto di buon esempio alimentare e ginnastica al potere. Fuori lo zucchero, dentro il miele. Il burro in panchina, in campo il purèe di frutta. Uniche eccezioni, le cene di Stato. Però adesso arrivano i titoli di coda. Bill Yosses insegnerà a New York. Magari come costruire zuccherosissime sculture caloriche. Lo stesso Prandelli (o brandelli), il burro (in spagnolo, asino, stupido) dimesso, amava il dolce, il palleggio spagnoleggiante, la versatilità tattica, il diabetico arrovellarsi con il giro palla ossessivo. Fuori lo zucchero, dentro il miele, il burro è partito, in campo il purèe di frutta fuori stagione. Poi gridarlo dagli spalti, ad ogni rinvio del portiere avversario, “burro!”, simile al “Raoul!” gridato nelle sale di Cannes, appena le luci si spengono, qualche secondo prima dell’inizio del film, sembra unire lo stesso istante di goliardia. L’Italia non ha fame, l’Uruguay morde alle spalle, perché le caviglie azzurre sono ormai burrose. A parte i soliti discorsi: ormai siamo di seconda o terza fascia da anni, lavoriamo male nelle scuole calcio (confermo!!!), siamo un popolo di figurine… di burro.
 
 
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chielliniEcco la solita trama. Si cambia ancora. 1-5-3-2- l’Italia, 1-5-3-1-1 l’Uruguay, che impegnava una delle due punte, a turno, a marcare Pirlo. Tre difensori centrali contro due attaccanti per entrambe le squadre, tre centrocampisti contro tre centrocampisti in mezzo e sulle fasce laterali duelli esterni contro esterni. Non poteva essere una partita bella, anche se più Italia di Uruguay, perché gli azzurri ritrovano il palleggio naturale della difesa a tre più Pirlo, Verratti e Marchisio davanti. Verratti soffre un po' il duello con Rodiriguez, tanto che Prandelli nel secondo tempo lo inverte con Marchisio. In attacco poco o nulla. Capita che su una palla recuperata a mezzo campo Balotelli punti verso la porta, Immobile invece di aprirsi per ricevere in corridoio va a tagliare la strada a Balotelli: errore grave, derivante non da poca intesa fra i due, ma da un’idea sbagliata in assoluto. L’Uruguay è poca cosa; spera in qualche calcio lungo o in qualche mischia che riesce a creare da punizioni a qualsiasi altezza di campo: non è calcio. Nell’intervallo esce Balotelli, a rischio espulsione, ed entra Parolo così anche l’Italia gioca 1-5-3-1-1. Pensavo che nel secondo tempo Tabarez togliesse alle punte l’incombenza di rientrare su Pirlo e alzasse un centrocampista nella zona del regista juventino. Non ha fatto nulla. Poi il cambiamento tattico lo fa l’arbitro, così l’Uruguay si mette con tre punte abbastanza vicine più gli esterni. l’Italia comincia a difendere cinque contro cinque ma per forza di cose si deve abbassare rischiando però solamente su cross che arrivano dalla 3/4. Entra Cassano al posto di Immobile per reggere un po' la palla in avanti. Non la regge quasi mai. Entra Motta per Verratti preso da crampi. Gli azzurri marcano male su angolo (al difensore avversario più temibile di testa, viene concesso addirittura il terzo tempo…) e si prende il gol dell’1 a 0. L’Italia reagisce con disperazione. Sono forse i nostri migliori dieci minuti finali in assoluto di questo mondiale. L’ultima immagine, quella di Buffon in attacco, è emblematica di un Paese che cerca ossessivamente rottamatori. Prandelli potrebbe essere Renzi, agognando, nei rimpasti continui, esplosività dalle proprie squadre per poter seriamente competere. Ma più di Renzi, ad oggi, ricorda San Giovanni Decollato, decapitato.
 
caravaggioProprio nel giorno di San Giovanni Battista, l’Italia per la terza volta nella sua storia subisce una batosta memorabile. Il più grande dipinto e l’unico firmato: il nome del maestro è tracciato con il sangue che esce dal collo mozzato di san Giovanni, si intravedono anche i segni lasciati dai dentoni di Suarez. L’artista ha ormai abbandonato del tutto i colori lividi e i particolari smaglianti della giovinezza: ora la sua attenzione è concentrata sull’uso dello spazio. Il maestro si svincola dalla tradizionale disposizione simmetrica delle figure all’interno del rettangolo di gioco: nella vasta tela brasiliana tutti i protagonisti sono raggruppati nella parte bassa, mentre l’intera metà alta è occupata dal cieco muro di una prigione. La luce fioca filtra nello squallido e disadorno cortile di una prigione; il maestro (non Tabarez) inquadra in parte i personaggi, o meglio li utilizza poco e male. San Giovanni è crollato a terra, con il collo tagliato dalla spada, ma per colmo d’orrore la decapitazione non è riuscita perfettamente, la testa non è completamente staccata, e il "boia nero" si appresta a completare l’opera. Siamo ancora un popolo di santi e poeti, ma questo non è più il rinascimento. Parafrasando Totò in San Giovanni decollato: "Lo stomaco mi funziona benissimo: non ho appetito perché sono dissidente".
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