BRASILE 2014 – La solitudine degli dei


Cristiano Ronaldo, Fabio Capello e Mario Balotelli sono, tutti e tre, divinità cadute rovinosamente sui campi di gioco del Mondiale brasiliano. Le testimonianze viventi che, in questo gioco, al di là delle Champions vinte, dei palloni d'oro, degli stipendi mostruosi e dei meriti effettivi, nel momento della sconfitta anche loro, Dei del calcio, sono condannati alla solitudine

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Alla fine Cristiano Ronaldo non c’è l’ha fatta. All’apice della sua carriera, reduce orgoglioso della conquista della desiderata decima Champions madrilena e vincitore del Pallone d’oro, per la stella portoghese il Mondiale brasiliano sarebbe stato, forse, la grande occasione per chiudere qualsiasi confronto e affermare con forza, in modo quasi violento, io sono il più grande. Non importava certo che mai come quest’anno la nazionale portoghese fosse un’armata Brancaleone stanca, con giocatori poco convinti, guidata da Paulo Bento, commissario tecnico mediocre che non regge certo il confronto con grandi esponenti della scuola lusitana (da Jorge Jesus a Villas Boas, arrivando ovviamente allo Special One). Non c’erano riusciti anche Maradona e Roberto Baggio a caricarsi sulle spalle squadre buone, ma non eccezionali, e arrivare alla Finale? Non stanno forse facendo lo stesso i nemici di sempre Lionel Messi e Neymar con le proprie nazionali?
Purtroppo non c’è stato verso. Complice anche una condizione atletica pessima, i postumi di un fastidioso infortunio e un girone rivelatosi più difficile delle aspettative, il bel Cristiano è dovuto uscire dal Mondiale più importante della sua vita dalla porta sul retro. Il suo sguardo disperato, la rabbia frustrata che ha riversato sul campo a ogni gol clamorosamente sbagliato (una sola marcatura in tre partite) sono i segnali di una delle più grandi e cocenti delusioni sportive di questa manifestazione (e di quest’anno calcistico). Siamo certi che CR7 ora non vedrà il momento di tornare a Madrid, il regno dorato in cui è l’imperatore indiscusso e coccolato a gustarsi le sue ferie, magari convivendo con il fantasma di una finale che vedrà, presumibilmente, Neymar e Messi (ancora loro) sfidarsi per il trono.

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Un'altra divinità caduta rovinosamente sui campi del Brasile è sicuramente il nostro Fabio Capello. Alla viglia della Coppa del mondo, molti dei nostri saggi e competenti media (gli stessi che trasudavano entusiasmo per le geniali convocazioni di Fantantonio Cassano e degli scugnizzi del Pescara di Zeman) amavano dire che ogni euro speso per Fabio Capello fosse un euro ben speso. A essere precisi la federazione russa di euro per Don Fabio ne spende più di otto milioni e in un regime di caccia alle streghe nazionale, dove lo stesso Prandelli (a torto o a ragione) è stato crocefisso per il suo stipendio e per le sue scelte, non può che far sorridere questa dichiarazione d’amore. Si sa, è sempre comodo adulare il venerato maestro di turno, il grande vate del calcio all’italiana vecchio stile (“Basta con questo possesso palla, basta con questi schemi complicati” hanno tuonato grandi esperti di calcio) pronto ad annichilire con la sua esperienza e il suo palmares questi ragazzotti del Belgio e dell’Algeria. Quasi ce li vediamo questi grandi giornalisti pronti a gustarsi la disfatta delle velleità calcistiche di queste nazionali parvenu di fronte al grande e glorioso Fabio Capello. Come nelle storie migliori, però, qualcosa non è andato per il verso giusto e l’allenatore che ammira Putin, si è visto sbattere fuori da queste bande di ragazzini divertiti, lasciando in eredità al Mondiale 2014 solo le papere del suo portiere e un sistema di gioco noioso, prevedibile e ripetitivo. E’ stato quasi commovente vederlo, alla fine, sbraitare nel disinteresse generale contro un presunto complotto arbitrale contro la Russia come quei matti che urlano al cielo frasi d’odio incomprensibili, convinti che la Luna li stia seguendo. I suoi estimatori saranno sicuramente orgogliosi di questa bella manifestazione di vittimismo e anti-sportività, chiaro omaggio dell’allenatore al miglior Made Italy.

Arrivando all’Italia, infine, non possiamo non tornare su un’altra icona distrutta, il nostro Mario Balotelli rientrato finalmente a casa. Troppe parole sono state buttate sulle ricostruzioni di litigi, sulle accuse dei senatori dello spogliatoio e su quella sincera e delirante lettera aperta scritta su Instagram. FInallyMario ormai è il nemico pubblico numero uno, lo stesso ragazzo che, dopo una stagione al Milan imbarazzante, era stato a furor di popolo acclamato eroe dei due mondi per poi essere scaricato e umiliato cinque minuti dopo la disfatta. Siamo sinceri, il mondiale di Balotelli è stato una vergogna ma quanto coraggio ci vuole per ammettere, a ventiquattro anni, di essere, in effetti, il giocatore più sopravvalutato della storia del calcio italiano (e non importa che solo due anni fa, dopo la semifinale europea con la Germania, avesse avuto un paese prostrato ai suoi piedi). Crediamo che in quel broncio infantile indossato tra i corridoi di Malpensa, in quella cresta bionda ostentata come ultima provocazione ci sia tutta la consapevolezza dei propri limiti. La definitiva accettazione di essere un giovane Idolo del calcio odiato da tutti. Perché, in questo gioco, al di là dei premi, dei guadagni e dei meriti nel momento della sconfitta anche gli Dei sono condannati alla solitudine.

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