Bread and Salt, di Damian Kocur

Brilla di luce propria, riflettendo tutto il talento di un regista esordiente ma già dallo sguardo maturo. Premio Speciale della giuria Orizzonti a #Venezia79, passato al CiakPolska a Roma

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Il lungometraggio d’esordio di Damian Kocur sembra una successione di malinconiche diapositive. Inquadratura fissa, movimento del profilmico quasi inesistente. Nessuna fretta, nessuna commissione impellente da svolgere. È il racconto di un’estate come le altre, ambientato in un luogo che sembra aver fermato le lancette del tempo. Il protagonista di questa “proiezione di diapositive” è Tymek, un giovane e talentuoso pianista, iscritto al Conservatorio di Varsavia, giunto nella sua cittadina d’origine per ricongiungersi al fratello (anche lui aspirante pianista) e passare così le vacanze estive insieme. I due si aggregano alla vecchia compagnia di amici il cui ritrovo pre o post serata è spesso e volentieri un bar kebab gestito da due fratelli arabi. Mentre l’atteggiamento di Tymek è di genuino interesse e apertura verso i nuovi arrivati, diverso è l’approccio dei suoi amici che fanno di tutto per provocare ed entrare in conflitto con i due lavoratori arabi. La tensione tra i due mondi diventerà sempre più forte, fino allo scoppio, definitivo.

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Chleb i sól, “Pane e sale”, è prima di tutto un modo di dire in polacco che inaspettatamente trova il suo corrispettivo solo in arabo. Fikihbz wa meleh bainema, “Tra te e me c’è pane e sale”, è anche un antico proverbio arabo: dopo aver mangiato assieme condividendo pane e sale, simboli tradizionali dell’ospitalità, non ci si può più fare la guerra a vicenda.

All’interno di quei quadri statici e malinconici impressionati dalla macchina di Kocur, non sembra esserci spazio per quella condivisione di pane e sale. Il film si ispira a fatti realmente accaduti ed è, in parte, una denuncia nei confronti di un paese, la Polonia, che si è dimostrata, col passare degli anni, sempre meno disposta all’inclusione, specialmente nei confronti dell’immigrazione di stampo islamico.

Ma per trovare la ricchezza di Bread and Salt, è necessario ritornare alla semplicità della regia di Kocur, priva di eccessivi movimenti di macchina. Il regista adotta uno sguardo che spia i suoi protagonisti che ne raccoglie gli sguardi quasi desiderosi di ricercare un altrove, fuori dall’asfissiante inquadratura in cui vivono. Sicuramente il film si nutre di riferimenti importanti, sia all’interno del panorama cinematografico polacco come Paweł Pawlikowski ma anche nella riflessione sulla potenza e veridicità delle immagini nel cinema di Micheal Haneke. Tuttavia Bread and Salt ha la capacità di brillare esclusivamente di luce propria, riflettendo tutto il talento di un regista, vincitore a Venezia del Premio Speciale della giuria Orizzonti, già maturo nello sguardo al suo primo film.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
1 (1 voto)
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