Brian Wilson – A shining light
La musica di Brian Wilson è piena di luce, quella della California, che si riflette sulle onde e sulle tavole da surf. Ma ce n’è anche un’altra: quella dei sogni contagiosi di una generazione

“Nella profondità dell’inverno ho imparato, alla fine,
che dentro di me c’è un’estate invincibile”
Albert Camus
“When you’re on a golden sea
You don’t need no memory
Just a place to call your own
As we drift into the zoneOn an island in the sun
We’ll be playing and having fun
And it makes me feel so fine
I can’t control my brain”Island in the sun – Weezer
Endless Summer è una raccolta di successi dei Beach Boys uscita nel 1974 ma che riprende i loro successi dell’epoca “surf” (dal 1961 al 1965). Endless Summer è anche un leggendario documentario del 1966 su due surfisti che seguono l’estate fra emisfero nord e sud per non smettere mai di fare surf. L’estate infinita (o invincibile1) non è che un altro nome della giovinezza. Fare surf per sempre, essere giovani per sempre. Quando si è costretti a smettere di fare surf è per andare in guerra: Un Mercoledì da Leoni e Apocalypse Now (Charlie non surfa).
I Beach Boys non hanno avuto eguali nel raccontare questa rincorsa senza fine e nel farci sentire che suono ha la felicità. Certo, dopo più di sessant’anni, molta di quella “felicità” può apparire stereotipata, anche superficiale, ma guardandola da così lontano come siamo oggi, forse non ci rendiamo più conto che alla fine non fu che una breve finestra, il momento in cui il rock, pur essendo giovanissimo, aveva già bisogno di cambiare pelle, in Inghilterra con i Beatles, mentre in California si preferiva sperimentare le nuove potenzialità sonore offerte dalle chitarre elettriche, amplificatori ed effetti che, unite alle armonie vocali crearono la surf music. Una moda dilagante che, come tale, non poteva che stare stretta ad uno come Brian Wilson, innamorato della composizione, che sfruttava la moda solo per poterla piegare alle armonie vocali che ha nella testa.
Già nel ’65, quando ha solo 22 anni, il “gioco” del surf gli è venuto a noia. Il successo che, in una manciata di anni, ha consacrato il gruppo a star planetaria (ed unica rivale mondiale dei Beatles) gli permettere di poter fare le cose a modo suo: smette di andare in tour con il gruppo (anche perché è già preda di forti attacchi di ansia) per potersi concentrare sulla composizione e lanciare il guanto di sfida definitivo a Paul McCartney che aveva appena pubblicato Rubber Soul, che aveva fortemente impressionato Brian spingendolo a trovare una risposta musicale adeguata (a ripensarci oggi, anche alla luce di quanto gli ha complicato la vita, quella rivalità non può che apparire assurda, come chiedersi se sia stato più grande Michelangelo o Leonardo). Inizia, così, a lavorare su Pet Sounds e lo fa praticamente da solo, mentre gli altri membri del gruppo sono in tour e rientreranno solo per cantare le loro parti vocali. A suonare sono i membri della Wrecking Crew (session man molto esperti già utilizzati da Phil Spector, fra i quali Barney Kessel, Carol Kaye e Hal Blaine) più un’orchestra dal vivo. Sarà sì il suo capolavoro, ma forse anche una gemma troppo lucente con la quale doversi misurare in futuro.
Brian riversa tutto il suo mondo in Pet Sounds: dal difficile rapporto col padre il quale, sebbene sia stato fondamentale per portare la band al successo, era un uomo autoritario e violento, al punto che la quasi sordità ad un orecchio manifestatasi in Brian in giovane età, è stata spesso attribuita alle violenze da lui subite; alle sue ansie ed insicurezze ed, infine, il conseguente abuso di sostanze stupefacenti. La stratificazione della musica, che aveva appreso da Phil Spector, arriva ai massimi livelli in Pet Sounds, dove viene usata, oltre che per dare pienezza ai suoni, anche per rappresentare la stratificazione delle emozioni che Brian porta dentro il disco: le sue aspirazioni e le sue ansie, e quelle di una generazione, ma un po’ di tutte le generazioni se è vero, com’è vero, che questo disco non smette mai di essere citato quale fonte di ispirazione di musicisti del passato e del presente. Tutto questo enorme carico emotivo Brian Wilson, riesce a trasferircelo senza rinunciare ad un grammo di luce: non è un caso che l’amico “rivale” Paul McCartney abbia deciso di salutarlo così: “I loved him, and was privileged to be around his bright shining light for a little while”.
Dopo Pet Sounds Brian implode, succube ancora delle droghe, delle ansie e del confronto con McCartney, che nel frattempo aveva realizzato Sgt. Pepper (il capolavoro dei capolavori) che lascia Brian atterrito, ma è un confronto impari: i Beatles sono un mostro a quattro teste dove le idee hanno modo di crescere nel confronto con gli altri membri della band, nei Beach Boys lui è solo. Inizia a lavorare, sempre in solitudine, al disco che dovrebbe essere la sua risposta: Smile, una sinfonia adolescenziale a Dio, come lui stesso la definì. Decide di farsi aiutare dal quel paroliere sopraffino che è Van Dyke Parks, alimentando le gelosie di Mike Love che voleva ancora scrivere di tavole da surf, auto veloci e ragazze abbronzate. Lo terminerà solo nel 2004. Nel 1967 ne esce una pallida bozza Smiley Smile solo per ottemperare agli obblighi con la casa discografica. Brian, intanto, si perde. Non esce più dalla sua camera, tenta il suicidio, continua ad abusare di droghe e inizia un percorso di terapia psicoanalitica folle con il dottor Eugene Landy, una figura autoritaria con la quale ripristinerà lo stesso rapporto di sudditanza e sofferenza che aveva con il padre.
Troverà, finalmente, la pace solamente con l’incontro con Melinda Ledbetter che diverrà la sua seconda moglie e rimarrà con lui fino alla morte (avvenuta nel 2024). Una pace che gli consentirà di darci ancora qualche gemma, come Love & Mercy del 1988. La musica di Brian Wilson si muove (e ti conduce) in un paesaggio indefinito ed irreale che esiste solo in quel luogo che sta tra il sonno e la veglia, dove tutti gli elementi sono (già) reali ma l’atmosfera è (ancora) sospesa, irreale… Forse è solo una questione di luce! La luce nei sogni non è quella della vita reale. La musica di Brian Wilson è piena di luce! Certo, la luce della California, quella che si riflette sulle onde e sulle tavole da surf, sui muscoli abbronzati e imperlinati di sudore, ma c’è anche un’altra luce: quella dei sogni, appunto, dei sogni contagiosi di una generazione, che diventano limpida melodia.
1 “Un’estate Invincibile – La giovinezza nella società degli eterni adolescenti” – Riccardo Parisi – Bietti Editore 2016.