Buon giorno, di Yasujiro Ozu

Prosegue il viaggio della Tucker Film nel cinema di Ozu. Dopo Viaggio a Tokyo e Fiori di equinozio, esce in sale Buon giorno, uno dei suoi titoli più sorprendenti, scanzonati e lievi

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Un viaggio in un mondo dimenticato dal tempo, per un’epoca che va troppo di fretta per accorgersi dei gioielli che incontra lungo la strada. È questo, volendo, il dado tratto dalla friulana Tucker con la decisione di distribuire sul territorio nazionale sei film di Yasujirō Ozu restaurati in formato digitale dalla Shochiku. Il viaggio è iniziato, nomen omen, con Viaggio a Tokyo (Tōkyō monogatari, 1953), per poi proseguire con Fiori d’equinozio (Higanbana, 1958): due immersioni nel cosmo-Ozu, storie familiari che mescolano tragedia, melodramma e commedia, attraverso una geometria dello spazio che non cede mai il passo, neanche per un istante, a un calligrafismo freddo e asettico. Due shōshimin-eiga – sottogenere del gendaigeki, in cui il fulcro della narrazione ruota attorno alla vita quotidiana della middle class – che permettono anche allo spettatore più ignaro di cogliere i tratti peculiari del cinema di Ozu, sia per quel che concerne la messa in scena che per l’afflato umanista che lo contraddistingue.

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buon giornoIl modo migliore per proseguire in questo percorso è senza dubbio quello di fare un salto in avanti e contemporaneamente indietro nel tempo, con Buon giorno (Ohayō, 1959), secondo lavoro a colori in tutta la filmografia di Ozu. Per comprendere fino in fondo Buon giorno, uno dei titoli più (anti)modernisti di Ozu, è necessario infatti tornare con la mente cinefila quasi trent’anni prima. È il 1932, e Ozu ha intenzione di dirigere un film con protagonisti dei bambini: la Shochiku, che in quel periodo intendeva diversificare la produzione realizzando film per l’infanzia ispirati a modelli hollywoodiani, colse la palla al balzo. Nacque così Sono nato, ma… (Otona no miru ehon – Umarete wa mita keredo), in cui Ozu sperimentò una serie di innovazioni, a partire dall’eliminazione delle dissolvenze a favore di stacchi di montaggio bruschi, ma non cedette alle lusinghe del sonoro. Nella sua idea Sono nato, ma… avrebbe dovuto godere, per le sequenze più comiche, di un sonoro in grado di sottolinearle, ma la tecnologia a disposizione non lo soddisfaceva. Pur essendo ancora un prodotto dell’epoca del muto, Sono nato, ma… dimostra a più di ottant’anni di distanza una modernità espressiva (e concettuale) disarmante. Anche per questo, probabilmente, il ritorno sul luogo del delitto con Buon giorno appare così dirompente. Buon giorno non è un remake in tutto e per tutto di Sono nato, ma…, ma riprende uno degli aspetti chiave della vicenda: i bambini protagonisti, non accettando il mondo degli adulti come è loro visibile, mettono in pratica uno sciopero per protestare contro le iniquità di cui sono testimoni e vittime. Quello sciopero, che nel film del 1932 riguarda la rinuncia al cibo, nel 1959 diventa uno sciopero del silenzio. Nel riprendere alcuni dettagli di una storia scritta per il cinema muto, Ozu decide di non far parlare quasi mai i suoi piccoli protagonisti.

 

Non si tratta certo dell’unico calembour di una sceneggiatura, e di una messa in scena, che confermano una volta di più l’assoluta padronanza del mezzo e del linguaggio da parte di Ozu. Basta l’incipit di Buon giorno per rendersene conto: la prima inquadratura mostra una fila di case a un piano della periferia di Tokyo. Case moderne, tutte uguali. Davanti a loro si stagliano, monolitici, i pali dell’alta tensione, che sviluppano in verticale, con la loro presenza, un’inquadratura per il resto completamente orizzontale, piana. Altra inquadratura: fila prospettica di case, che fuggono oltre lo sguardo. Taglio netto, e altra inquadratura, campo lungo reso stretto (intimo) dalle case che si affacciano le une sulle altre. Mentre in un piano intermedio passa una donna nel vicolo, sullo sfondo dei bambini con le cartelle in cima alla collina camminano verso la scuola.
Non ha bisogno di alcun artificio, il cinema di Ozu, né di orpelli di alcun genere. Gli scarni movimenti di macchina che fino a qualche anno prima, di quando in quando, ancora facevano parte della sua grammatica registica sono oramai completamente accantonati. Il montaggio è tutto nel piano sequenza a macchina fissa. Il montaggio è già nel taglio dell’inquadratura. In un Giappone che si sta preparando a rispondere al moderno con una nuberu bagu ben più radicale e politica di quella francese (sempre nel 1959 esordisce Nagisa Ōshima, che nel 1960 porterà sugli schermi nipponici Notte e nebbia del Giappone, Racconto crudele della giovinezza e Il cimitero del sole), Ozu compie una scelta radicale, lavora di sottrazione fino alle estreme conseguenze senza per questo rinunciare in nessun modo a confrontarsi con il mondo che lo circonda.

 

buon giorno2Come la sua intera opera, anche Buon giorno getta uno sguardo – dolce e sardonico allo stesso tempo – sul Giappone in crisi di identità; ancora una volta la famiglia è un microcosmo da indagare in profondità, ma lo sguardo si allarga e si restringe allo stesso tempo. Gli spazi sono sempre più parcellizzati e angusti, ma l’ottica ora è quella del vicinato, la famiglia è organismo all’interno di un organismo più vasto, sfaccettato, come sempre contraddittorio. Non ha più senso costruire argini contro il moderno che avanza, ma Ozu non accenna comunque a un’accettazione prona. Si diverte, Ozu, e sperimenta finalmente quegli effetti sonori che non gli era stato possibile utilizzare ventisette anni prima. Ecco dunque un profluvio di gag scatologiche, vivace contrappunto a clacson, voci televisive; sono i bambini, con il loro stesso corpo, a produrre il suono più efficace e centrale dell’intero film. Buon giorno è una commedia che guarda a occidente con sguardo fieramente orientale, e osserva il contemporaneo con un occhio tradizionale, ma mai tradizionalista.
Regista forse ancora difficile da afferrare nella sua complessa stratificazione di segni e sensi della messa in scena, Ozu tratteggia in Buon giorno una delle sue opere più lievi, scanzonate e divertite. A cui bastano due tagli di montaggio su pantaloncini ad asciugare al sole per esibire una poetica.

 

Titolo originale: Ohayō

Regia: Yasujiro Ozu

Interpreti: Keiji Sada, Yoshiko Kuga, Chishu Ryu, Kuniko Miyake, Haruko Sugimura

Distribuzione: Tucker Film

Origine: Giappone, 1959

Durata: 94′

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